Ci ricorderemo di questo giorno. Di un weekend in cui Lewis Hamilton, in pista, è stato costretto a scontare la bellezza di 25 posizioni di penalità, divise tra il sabato della sprint race e la qualifica della domenica. Di come ha rimontato, il sabato, passando dall'ultima alla quinta posizione e di come il giorno dopo, di nuovo retrocesso fino alla decima, indiavolato si è costruito una vittoria necessaria, per tenere il vita questo mondiale.
Ci ricorderemo di lui che festeggia davanti al tifo brasiliano, portando sul podio la bandiera di un popolo che di Formula 1 è fatto, e mettendosela a spalle, come il mantello del supereroe che ieri si deve essere sentito, o come una coperta a proteggerlo dal resto, una pacca sulla spalla dall'alto, dal suo mito mai conosciuto. Ricorderemo le immagini, così simili e così diverse, del confronto tra lui e Ayrton Senna.
E lo faremo perché che piaccia o meno Lewis Hamilton è il pilota più vincente della storia della Formula 1 e, nonostante i suoi 36 anni, la fame di successo, l'aggressività in pista, il desiderio di dominare, sono gli stessi del britannico bambino, del Lewis appena arrivato in McLaren, quella dei suoi primi titoli, dei suoi errori, delle debolezze che oggi sono forze.
Parlate adesso, voi che per anni avete professato la fede del "vince solo perché ha la macchina migliore" e del "è solo un sopravvalutato". Provate a dire che la rimonta di sabato, quella di domenica, il sorpasso su Verstappen, la maturità mostrate in pista nel non rischiare un contatto inutile e la capacità arrivare ovunque, anche dove il suo team sbaglia, mettendo a posto situazioni apparententemente irrecuperabili, provate a dire che anche questo è tutto merito della sua monoposto.
Parlate, ditelo ancora una volta, dite che anche a Interlagos Lewis era solo e soltando agevolato dalla nuova power unit, dal motore potentissimo, da una monoposto con la quale è impossibile competere. O forse volete prendervela con Verstappen? Allora dite che l'olandese non ha talento, che è solo un arrogantello figlio di papà, che ancora non ha vinto nulla e che mai vincerà.
Ma la verità è che questo mondiale non decreterà un vincente e un perdente, tra Hamilton e Verstappen, ma darà un volto a due personaggi che stanno scrivendo la storia di questo sport. Eroici entrambi, da lodare, da criticare, da giudicare per quello che sono: dei vincenti.
E se il predente, dopo sette titoli mondiali conquistati, ancora non gli rende giustizia, nel futuro Lewis avrà il posto che merita nella storia del suo sport, e in quella di tutti gli sport del mondo. Unico, come unici sono tutti i vincenti, eroe di una storia che ancora non conosciamo.