Siamo sempre stati così? Incapaci di rispettare le storie degli altri? Non in grado di provare empatia, o anche solo di smettere di fare paragoni, classifiche, giudizi basati sul niente?
Viene da chiederselo leggendo alcuni post circolati sui social nelle scorse ore che mettono a confronto la splendida tripletta azzurra nei 100 metri alle Paralimpiadi di Tokyo, conquistata sotto la pioggia dalle italiane Ambra Sabatini, Martina Caironi e Monica Contrafatto, con la decisione della Formula 1 di non correre il Gran Premio di Spa a causa del maltempo.
I piloti di Formula 1 vengono così definiti "buffoni" perché in un altro sport, dall'altra parte del mondo, e in altre condizioni, qualcuno ha corso "sotto la pioggia battente con le protesi" mentre questi strapagati codardi non hanno avuto il coraggio di guidare sotto a un po' d'acqua.
Un commento che, dal punto di vista tecnico, non merita neanche una spiegazione: ovviamente non si possono fare paragoni tra il rischio di una gara di Formula 1 (soprattutto in un circuito pericoloso come Spa) e quello di una competizione di atletica sul bagnato. Siamo su due pianeti completamente diversi dove, l'unica cosa in comune, è la pioggia.
E allora piove sul bagnato, sull'incapacità del nostro secolo di provare empatia e rispetto per il lavoro, i sacrifici, e il coraggio altrui. Chi corre in Formula 1 rischia ogni giorno, Jules Bianchi e Anthonie Hubert sono solo gli ultimi esempi di come il motorsport sia ancora oggi uno sport pericoloso, e come tale merita il rispetto di chi lo guarda, di chi tifa, di chi fa classifiche e paragoni comodamente seduto sul divano di casa.
Le azzurre delle Paralimpiadi sono delle campionesse, sono il simbolo di quanto si possa andare lontani con la sola forza di volontà, ma sono anche l'esempio di come nella vita si possa fare molto di più che starsene a casa a commentare, e giudicare, il coraggio - o la mancanza di coraggio - altrui.
Sono le storie degli altri: le storie di chi a Eau Rouge, sotto la pioggia, non alza il piede e prende tutti i cordoli per trovare il giro perfetto, e facendolo finisce in ospedale. Le storie di chi corre con le protesi, sotto il sole e sul bagnato, e una volta vince, una volta perde, una volta cade e ricomincia. Le storie di chi invece non scende in pista, perché è troppo pericoloso, e perché qualche volta la vita conta di più di tutto il resto.
Ogni storia merita il nostro rispetto, tutte, tranne una: la storia di chi giudica senza pensare, e facendolo dimostra di non aver capito niente. Dei motori, dello sport, del coraggio, e anche della vita.