“Sono l’unico sulla faccia di questa terra che può dire d’essere l’operaio dei due Rossi più famosi del mondo” - Roberto Locatelli la butta subito a ridere così, con una frase che ormai è una sorta di suo personalissimo tormentone e che riassume alla perfezione ciò che lo rende unico. Perché ok che piloti del mondiale non ci diventano tutti e ok pure che campioni del mondo ce ne diventano ancora di meno, ma di lavorare fianco a fianco sia con Valentino Rossi che con Vasco Rossi è capitato solo a lui: Roberto Locatelli da Bergamo, anni 49, due figli e un titolo mondiale vinto in 125 proprio con il team che aveva come proprietario Vasco Rossi. Quegli anni, di recente, li ha ricordati proprio la rockstar italiana in un post su Instagram a cui lo stesso Locatelli ha risposto chiedendo a Vasco di potersi incontrare ancora, per fargli conoscere la famiglia che nel frattempo ha costruito.
Un incontro che ancora non c’è stato…
Eh no, ancora no, ma quel post è di pochissimi giorni fa e la mia risposta è ancora più recente. Non mancherà modo. Però mi ha fatto un piacere immenso che in queste vacanze che sta trascorrendo nella sua Zocca gli siano tornati in mente quegli anni. Si diceva che Vasco era solo uno specchietto, invece ti garantisco che era veramente il proprietario di quel team e che da proprietario si comportava. Veniva alle gare, voleva sapere, si informava su tutto e se serviva si faceva pure sentire. Le moto gli sono sempre piaciute, lui stesso ha raccontato che con i primi soldi ne comprò una e la velocità lo ha affascinato, così come si percepiva benissimo che lo affascinava da matti anche il mondo delle corse. Sono stati anni pazzeschi e i risultati lo hanno dimostrato: non vinci un mondiale se non è tutto perfetto e Vasco, insieme a gli altri, quella perfezione era riuscito a crearla
C’è un ricordo particolare?
Ce ne sono tantissimi. Ma uno lo porto dentro come insegnamento di vita. Quando vinsi il mondiale organizzai una festa nella mia Bergamo. Ero carichissimo all’idea che venisse anche Vasco Rossi, perché ok che ero il suo pilota e ero appena diventato campione del mondo, ma io ero prima di tutto uno cresciuto con le sue canzoni, un suo fan della primissima ora. Pensare che ero campione del mondo e che alla mia festa sarebbe arrivato Vasco mi faceva volare.
Dalla premessa sembra esserci un “ma”, cosa è successo poi?
E’ successo che quando l’ho invitato personalmente m’ha aperto gli occhi e con un’aria quasi paterna, uno sguardo che non dimenticherò mai, mi disse: “Roberto, se Vasco Rossi viene alla tua festa non sarebbe più la tua festa e non sarebbe giusto, perché hai appena vinto un titolo mondiale e meriti di essere il protagonista”. Lì ho capito che uomo grande fosse e che intelligenza avesse. Io non ci ero arrivato. Non venne, chiaramente, ma a dimostrazione che la sua non era una scusa organizzammo una serata più riservata per festeggiare insieme. Poteva sembrare un rimarcare “io sono Vasco Rossi” e invece c’era un’umiltà incredibile in quell’invito declinato, è stato un insegnamento di vita per me. Te lo immagini se nella Bergamo di quegli anni arrivava Vasco Rossi? E chi se lo filava più Roberto Locatelli?
Curiosità: da quella Bergamo alle corse in moto e nella velocità come ci sei arrivato?
In effetti, nonostante Agostini, queste zone non sono proprio la patria del motociclismo. Qua da noi si comincia con bob, slitte, slittini e sci. Anche mia figlia, quella grande che ormai ha otto anni, gareggia già con gli sci. Solo che io avevo il mio babbo che faceva enduro, anche qualche gara domenicale, e pure per me le ruote sporche e tassellate sono state il primo amore. Lì s’è capito che ne avevo e ci abbiamo provato con la velocità, grazie anche all'indimenticabile Fabrizio Pirovano. Il resto l’ho raccontato mille volte già, fino al coronamento della carriera nel 2000 con il team di Vasco.
E fino anche all’altro Rossi non proprio sconosciuto…
Io ci scherzo sempre e dico in continuazione che sono l’unico sulla faccia di questa terra che può vantarsi di essere l’operaio dei due Rossi più famosi del mondo. Ho lavorato per Vasco e lavoro per Valentino. Non hanno solo lo steso cognome, sono pure simili: nello sguardo, nella capacità di usare leggerezza anche quando sono serissimi e soprattutto nella ricerca della perfezione.
Quindi se dovessi definire Valentino Rossi diresti che è uno che cerca la perfezione?
Non si vede? Anzi, quello probabilmente è proprio il suo talento più grande. Solo che non c’è alcuna pesantezza nella sua ricerca della perfezione, riesce a mantenere sempre tutto nella massima leggerezza possibile e lavorare con Vale è un piacere assoluto. E’ consapevole dei percorsi, nonostante vive di velocità non ha mai fretta. Anche quello che sta facendo da pilota di auto lo dimostra: ha scelto un campionato che gli permettesse di crescere, s’è messo lì a imparare, ha cercato progressi cadenzati e costanti e, poi, ha vinto. Non è stata l’ultima volta, fidati. Stessa cosa con l’Academy: è partito dal Sic e dagli allenamenti insieme e lì ha capito che bisognava fare qualcosa per far crescere i giovani piloti italiani, con gli altri ha dato vita a una struttura che funziona in maniera perfetta e che risulta rodatissima e piano piano, passo dopo passo, quella struttura ha cresciuto e accompagnato campioni veri, fino a vincere addirittura un titolo mondiale in MotoGP. Anche quello non sarà l’ultimo. Stessa cosa con il team, partendo da lontano e dalle categorie minori. Quando uno riesce a vincere un po’ su tutti i terreni in cui mette i piedi c’è niente di casuale o di solo fortunoso
C’è anche un bel po’ di Roberto Locatelli nell’Academy…
E’ un mio grande orgoglio. Lavorare con Vale e i ragazzi del Team o dell’Academy, non solo i piloti, è gioia pura
Confermi, quindi, che l’ambiente è speciale e che il clima che mostrano è quello reale?
No, il clima che mostrano è meno bello di quello reale. Solo che ai tempi di oggi tutto può essere frainteso e non puoi mostrare tutto, ma lì mentre si lavora ci si diverte davvero, ci si prende in giro di brutto, si gioca, si scherza e, nel frattempo, si cresce. Credo che il grande messaggio che Vale è riuscito a far passare è che un rivale è sempre il primo degli insegnanti e che l’amicizia è qualcosa che, quando è autentica, non è intaccabile da niente.
Però c’è chi dice che quando ci si gioca la stessa cosa si finisce per litigare. In particolare sono tanti quelli pronti a scommettere su uno screzio tra il campione affermato Pecco Bagnaia e quello nascente Marco Bezzecchi…
Io li vivo praticamente tutte le settimane, su questa cosa qua non ci scommetterei nemmeno un centesimo. Ma anzi punterei un bel po’ sul contrario. Competere non è odiarsi, ma a volte a guardare da fuori si finisce per fare confusione. Sono amici veri, amici che però vorrebbero fregarsi anche nella gara di taglio del prato. E’ bellissimo e c’è niente di cui preoccuparsi. Le grandi rivalità esplose nella storia del motorsport, in verità, c’erano già da prima. Qui, invece, da prima c’è l’amicizia e l’amicizia viene anche prima, pur non entrando mai e poi mai in pista con loro o in qualsiasi altra cosa li metta gli uni contro gli altri. Poi, per carità, tutto può succedere e le certezze assolute possono arrivare solo dal tempo, man mano che le cose accadono. Non so se riesco a spiegarmi
Insomma, non vedi il rischio di litigi all’orizzonte. E magari tenere lontana quella prospettiva è un po’ anche il compito di coach Roberto Locatelli?
Il compito di un coach, oltre a divertirsi con loro, è, tornando all’altro Rossi, fargli dire con soddisfazione quello che Vasco canta da una vita: vado al massimo!