Ventotto anni. Tanto è passato da quel 5 settembre 1993 che ha segnato, insieme ad altre tristi date, la storia del motomondiale. Teatro dell’incidente di Wayne Rainey fu quella stessa Misano che nel prossimo fine settimana ospiterà il Gran Premio della Repubblica di San Marino e che allora si chiamava ancora Santa Monica, prima di prendere il nome di Marco Simoncelli World Circuit.
Rainey era in testa al mondiale a poche gare dal termine, avrebbe certamente messo nel sacco il quarto titolo, ma la fiaba tra lui e la sua inconfondibile Yamaha 500 si interruppe al Curvone.
A raccontare quell’incidente c’è ancora un video, uno dei pochi onboard dell’epoca, e c’è ancora la voce di Wayne Rainey, costretto da quel giorno su una sedia a rotelle.
Una storia e un amore, quello tra Rainey e le corse, che però ha saputo trasformarsi anche quando ormai il destino lo aveva messo seduto. I ruoli nei team, la scoperta di nuovi talenti, la presenza fissa e costante nei paddock, a testimonianza di una passione che non ha conosciuto ostacoli e che ha reso ancora più accattivante la leggenda di quel pilota biondo che magari non era spettacolare come gli altri statunitensi Kevin Schwantz o Randy Mamola, ma che aveva saputo essere più efficace e, al netto del tifo, sicuramente più vincente.
Ha sempre parlato poco di quel 5 settembre 1993, ma quando lo ha fatto ha scelto di non vestire i soliti panni dell’eroe, lasciandosi addosso quelli dell’umanita e ammettendo rabbia e debolezze: “Non accetterò mai le cose per come sono andate a finire – ha detto in una intervista - ma mi sono fatto una ragione rispetto a ciò che ho perso. Questa è la parte più difficile. C’è stato un tempo in cui le gare mi mancavano molto, ma è la vita ciò che mi manca di più”.
Però la vita per uno che è diventato leggenda correndo in moto, passa anche per la moto e nel 2019, dopo 26 anni da quell’incidente e alla soglia dei 60 natali, Rainey è tornato in pista. In sella ad una Yamaha R1 preparata proprio per lui e adattata alla guida con i soli arti superiori.
Un momento che ha riportato tutti a quegli anni d’oro del motociclismo, fatto di miscela, 500 indomabili, americani funambolici e “P” che stava per passione piuttosto che per professionismo. Il video di quel giorno è una testimonianza quasi commovente di quella passione, basta guardare gli occhi di Rainey che sembrano dire “c’è sempre un altro onboard”.
Tanto che dopo il primo ritorno ce n’è stato subito anche un secondo, questa volta insieme a Eddie Lawson e Kenny Roberts. "Negli ultimi due giorni prima del ritorno in sella non sapevo cosa aspettarmi - ha poi raccontato Rainey alla fine del suo primo giro - quando ho messo in moto e sono andato è stato come togliere le rotelline laterali. Non ero molto stabile e ho pensato: ‘Devo dare gas!’
Tornare in moto è stato strano. L'accelerazione… e come mi sentivo sulla moto… Così mi sono preso una piccola pausa, ma la seconda volta, tutto era tornato a posto. Ventisei anni senza salire in sella ad una moto sono tanti per poi saltare su una R1. Mi ha fatto sentire di nuovo giovane".