La sala conferenze del Palazzo della Regione di Trento è moderna, spaziosa, contornata da ampie vetrate che si affacciano su Piazza Dante e sulla stazione. Le montagne che incastrano la Valle dell’Adige hanno inghiottito anche il sole; sulla città – adesso - la luce cala in maniera proporzionale alla temperatura, con ritmi e valori decisamente autunnali. Le vie del centro emanano un calore che sgorga da un entusiasmo generalizzato, da un flusso di gente a passeggio, in costante fermento: “Scappo da Ronaldinho, non aspettarmi per mangiare” - potresti sentire se capiti a Trento nel weekend del Festival dello Sport. D’altra parte è anche sabato, sono le ore in cui le aree pedonali diventano percorsi ad ostacoli, tra dehors, funghi riscaldanti e coloro che si fermano per valutare se sia meglio un aperitivo, una cena anticipata, o un misto tra i due, prima di conquistare una poltrona al Teatro Sociale e ascoltare i racconti ad alta quota di Messner e Viesturs, i retroscena in bianco e nero di Barzagli e Marchisio. Eppure in Piazza Dante, sprovvista di ristoranti e distante dalle logiche del centro città, c’è la fila. Tutti, una buona percentuale di giovani compresa, aspettano un 58enne che arriva da una cittadina industriale nei dintorni di Liverpool: Carl Fogarty, direttamente da Blackburn.
Quando Carl - accompagnato dalla moglie Michaela - fa il suo ingresso al Palazzo della Regione, la sala conferenze è praticamente gremita. Manca poco più di un quarto d’ora alla diretta e Fogarty sospira, cammina rigidamente lungo il palco: è teso, pare pentirsi dell’impegno mediatico preso con mesi di anticipo, forse desidera che il suo intervento di un’ora – davanti ad un pubblico appassionato ma pur sempre estraneo – finisca il prima possibile. È interessante vedere come l’uomo dai soprannomi regali – King Carl, Mister Superbike, Foggy – non si preoccupi di nascondere il suo lato più timido, riservato ed umano. Lui che in Superbike è stato superstar, con quattro titoli mondiali tra il 1994 e il 1999. Lui che, col suo numero 1 aderente al cupolino della Ducati 916, considerata uno degli oggetti a due ruote più belli di sempre, ha fatto innamorare migliaia di italiani. Lui che secondo molti ha gli occhi di ghiaccio, per altri lo sguardo della tigre, per tutti l’espressione del pazzo. Non appena Carl batte ciglio e schiude le palpebre, osservo quelle due fessure che sparano luce azzurra: sembra possano arrivare dappertutto, disintegrando muri e pareti. Proiettano un’inquietudine latente, ma trasmettono soprattutto sensibilità, oltre ad un’intelligenza sveglia.
Alla Gazzetta dello Sport, Carl racconta della sua partecipazione a “I’m a Celebrity…Get me Out of Here”, il reality show britannico in cui dodici celebrità vengono abbandonate nella giungla australiana, costrette a procurarsi da mangiare con le proprie mani. Una sorta di “Isola dei Famosi”, ma molto più estrema e selvaggia in cui, non a caso, Fogarty si è imposto, diventando idolo definitivo in patria: “Il pubblico da casa votava affinché tu affrontassi determinate sfide. Una delle prove più tremende è stata bere del sangue di cervo, una specie di impasto fatto con cuore, fegato e occhi dell’animale. Oppure mangiare blatte, vermi, tendini di cammello, serpenti. Mi ha impressionato vincere lo show più importante dell’Inghilterra, non pensavo che un ragazzo normale di una cittadina del nord del Paese potesse farcela. Pensavo anche che una volta nella giungla avrei odiato tutti gli altri concorrenti, così come loro avrebbero odiato me. Invece è stata una bella esperienza”. Poi si sofferma sull’ultimo giro al cardiopalma di Assen 1998, al termine del quale il suo compagno di marca Pierfrancesco Chili lo accusò di una condotta di gara profondamente scorretta e chiese alla Ducati di squalificare Carl per il Gran Premio successivo: “In quel momento c’erano due squadre in seno a Ducati e tra i due gruppi non correva buon sangue, anche perché sia il mio team che quello di Pierfrancesco avevano la possibilità di vincere. Restavano solo le due gare di Assen e Suzuka prima della fine del campionato. In Gara 2 in Olanda sono partito più veloce di Franky, ma sapevo che lui fosse in agguato, pronto a superarmi, quindi io ho iniziato a cambiare le mie traiettorie sul rettilineo. Lui alla fine cadde alla “esse”, all’ultimo giro, senza che tra noi ci fossero contatti, ma si arrabbiò per le mie traiettorie, con le quali gli avevo impedito di superarmi. Le tensioni tra le due squadre erano piuttosto crude, mi è andata bene. Alla fine la vittoria ha sorriso a me, non a Franky”.
Nel momento in cui Fogarty termina il suo intervento, una discreta schiera di pubblico si accalca al di sotto del palco per una sessione di foto e autografi. Dopo qualche minuto riesco a braccarlo, a chidergli la disponibilità per effettuare un’intervista in un angolo più tranquillo ed appartato. Michaela vorrebbe andare a cena e preme affinché Carl la assecondi. Anche Fogarty, dopotutto, sente di essersi meritato il miglior ristorante di Trento. Chiacchieriamo per cinque minuti, non di più.
Carl, Come stai? Sei appena diventato nonno del piccolo Mason.
“Sono molto felice in questo momento, è bello avere un nipotino a cui potrò insegnare ad andare in moto. Sono ambassador per Ducati Manchester e per CCM Motorcycles. Mi diverto a partecipare ad eventi come quello di stasera, cerco di tenermi occupato compatibilmente con tutto”.
Nel 1994 dicesti che la Ducati 916 era talmente bella da aver paura di rovinarla in gara. Hai mai pensato che per te fosse obbligatorio vincere con quella moto, che se lo avessi fatto saresti diventato un’icona?
“Sì sì, quando l’ho vista per la prima volta ero meravigliato, ero determinato a vincere con la 916 già dal primo anno. L’abbiamo fatto e siamo riusciti a ripeterci per altre tre volte, quindi è stato grandioso”.
C’è stato un momento, nel corso della tua carriera, in cui hai realizzato che saresti potuto diventare un vincitore seriale?
“Ero molto fiducioso del fatto che sarei diventato campione del mondo, anche prima di diventare un pilota professionista. Ero spavaldo, determinato. Lo sono sempre stato. Poi ho voluto mantenere la promessa, e una volta che diventi campione del mondo – sai – poi è più facile vincere ancora perché a quel punto l’unica alternativa è la sconfitta, e l’unico motivo per continuare a correre è continuare ad essere campione del mondo. Quindi anche dopo il primo titolo nel 1994 sono rimasto molto motivato”.
Toprak Razgatlioglu somiglia ai piloti della tua generazione?
“Sì (ride)! Sarebbe stato perfetto nella mia epoca, si sarebbe adattato benissimo”.
Hai visto la battaglia di Portimao dello scorso mese tra lui e Baustista? Cosa ne pensi del sorpasso all’esterno di Alvaro all’ultima curva?
“È stata una gara incredibile, un ultimo giro incredibile. La potenza della Ducati ha avuto la meglio alla fine, anche se bisogna dire che Bautista è ancora un grandissimo pilota”.
Ti aspettavi la decisione di Marc Marquez di lasciare la Honda per la Ducati del Team Gresini?
“Penso sia buono per lui, che abbia bisogno di cambiare. I tanti anni con la Honda l’hanno probabilmente innervosito. Sai, ha avuto tantissimo successo in Honda, ma la Honda non vive un gran momento. Lui, Marc, ha bisogno di vincere”.
Ci riuscirà?
“Sarà molto interessante da scoprire. Non ne sono sicuro, credo che se sarà il Marquez del 2019 potrà vincere, ma forse adesso è un po’ invecchiato e alcuni dei ragazzi sono più veloci. Non so, vedremo”.
Tra Martín e Bagnaia come la vedi?
“Martín è molto veloce ora, penso che l’inerzia sia dalla sua parte. Bagnaia sta lottando un po’ per stare davanti con continuità”.
Andrea Dovizioso ha dichiarato che la Sprint Race sarebbe ancora più divertente con le MotoGP di cinque anni fa. Toglieresti prima l’aerodinamica o l’elettronica?
“Con le moto di dieci anni fa sarebbe ancora meglio (ride). Rimuoverei entrambe, le moto sembrano jet ski, sembrano navi. No no...”.
Tra i tanti rivali che hai affrontato nel corso della tua carriera, devi scegliere quello che ti ha messo più in difficoltà.
"John Kocinski, Scott Russel, Colin Edwards...non riesco a scegliere, ce ne sono stati diversi".
Per Carl si avvicina la fine dell’intervista e, di conseguenza, anche il momento di pensare alla cena.
Nel 2015, al Daily Mail, affermasti: “Tendo a bere il vino troppo velocemente, senza gustarmelo. Preferisco la birra durante i pasti. Adoro il tè e ne bevo fino a sette tazze al giorno”. Confermi tutto?
“Sì (ride)! Bevo ancora tanto tè, almeno cinque tazze al giorno “.