In Italia c'è un nome nella mente di tutti gli appassionati se si pensa al futuro del motorsport. Conseguenza di imprese al volante di kart e monoposto che lo hanno visto crescere e affermarsi fino alle porte della Formula 2, categoria cadetta alla massima serie in cui esordirà il prossimo anno. Andrea Kimi Antonelli lascia come una scia di polvere magica intorno a sé e non c’è persona che guardandolo non rimanga incantata dalla semplicità con cui, in pista, riesce a distinguersi e stupire. Si legge di lui ormai ovunque, si conosce ogni dettaglio della sua carriera e si aspetta pazientemente di vederlo al massimo livello che questo sport conosce. Nei paddock dove Andrea è cresciuto, parlando con chi lo ha visto muovere i primi passi fino a vincere il più recente campionato in Formula Regional, viene sempre fuori la figura di Marco Antonelli, il suo papà, che l’ha seguito in ogni momento. Lo abbiamo intervistato per conoscere segreti, difficoltà e speranze del giovane favoloso del motorsport italiano.
Sul finire di ottobre a Imola, teatro dell’ultimo round dei campionati italiani, Marco Antonelli ci ha accolto nel suo box per raccontarci con gli occhi di un padre quelli che sono stati gli ultimi dieci anni al fianco di Andrea. Lo troviamo impegnato con uno dei suoi piloti, appena sceso dalla Mercedes AMG GT3 in lotta per il campionato italiano GT, e immerso totalmente nel mondo che lo ha visto protagonista da quando è riuscito a varcarne le porte. Pilota negli anni 90, poi team manager e, dal 2006, padre e mentore di Kimi, che ha messo sul kart dall'età di cinque anni trasmettendogli la passione per la velocità nel modo più sincero e puro possibile. Con il rombo dei motori di sottofondo e gli occhi curiosi di chi passa nel suo hospitality, Marco sorride quando gli chiediamo di Andrea, il suo ragazzo, prima di Kimi, il pilota.
Te la ricordi la primissima volta sul kart con Andrea?
Sì, me la ricordo bene. Aveva cinque anni e pochi mesi. Era piccolino ma cosa che più mi ha impressionato è quanto avesse già le idee chiare. Per questo poi ho deciso di farlo continuare.
Ma ti saresti mai immaginato tutto questo?
No, io per lui avevo già pensato ad altro. Inizialmente non sapevo se fosse tagliato per questo sport, poi quando mi sono reso conto guardandolo che sapeva fare già tutto da solo pensavo a un percorso sui kart, un anno di Formula 4 e poi un futuro nelle GT. Per noi economicamente sarebbe stato insostenibile fare delle cose diverse, puntare alla Formula 1. Poi con l’arrivo di Mercedes è cambiato tutto.
E parlando proprio di Mercedes: quando Toto Wolff vi ha contattato per prendere Andrea sotto la sua ala qual è stata la prima cosa che ti è passata per la testa?
Ho pensato che intanto siamo stati molto fortunati. Non è facile che capiti: devi essere al posto giusto al momento giusto per entrare in una Academy come quella di Mercedes soprattutto da così presto come successo a Kimi. Dopo l'arrivo di Mercedes ho vissuto un po’ le cose alla giornata, cercando di aiutarlo e far sì che potesse avere tutte le occasioni giuste e che fosse nelle condizioni per dare sempre il meglio e non essere dimenticato.
Il suo futuro come te lo immagini? Ce la vedi la Formula 1?
Sarò onesto: non ci penso più di tanto. Sono abituato al fatto che in questo sport un giorno sei una stella ma il giorno dopo magari sei finito. Per me quello che sta facendo Kimi è un mestiere come qualunque altro: sa che che deve andare a lavorare e deve andare a scuola. Come se il suo lavoro fosse guidare un autobus solo che al posto dell'autobus guida un'auto da corsa, con tutto quello che comporta. Si può dire che sia più fortunato di chi fa un mestiere che non gli piace perché quando guida si diverte e sente meno il peso del lavoro. Per lui deve essere la normalità, che è anche un modo per vivere un impegno grande in maniera molto serena.
Nonostante la strada verso la F1 sia ancora tanta Kimi è già molto seguito dai tifosi. Vedere così tante persone nel paddock per lui fa impressione: a te, da padre, che effetto fa?
Io penso che Kimi piaccia perché è un ragazzo normale. È questo un po’ il suo segreto: essere speciale nella normalità. E quando sei così non penso che ti dia fastidio. È chiaro che quando devi fare una giornata di lavoro e hai venti persone nel box che ti parlano e ti distraggono non va bene, ma se alle gare hai la gente che ti viene a guardare devi essere ancora più motivato perché ci sono tante persone che credono in te. Vivere con normalità una cosa di questo genere finché è ancora possibile è la chiave.
Togliendo il lato professionale cosa significa dire essere il padre di un pilota?
Essere il papà di una persona come Kimi per me è la cosa più bella. È un bravo ragazzo e io sono molto orgoglioso di lui, abbiamo un bellissimo rapporto. E poi il fatto che lui sia un pilota di alto livello è solo una gratificazione in più per me. Penso che tutti i genitori vogliono vedere trionfare il proprio figlio e questo vale per l’automobilismo come per qualsiasi altra cosa soprattutto se è anche una loro passione.
Anche tua moglie, la madre di Kimi, la vive bene come la vivi tu?
Lei la vive allo stesso modo in cui la vivo io. La cosa che dice sempre è che è contenta quando ci dicono che Andrea è un bravo ragazzo, che sa stare in mezzo alla gente e che è educato. Dopo viene la parte sul pilota.
Ce l’hai un po’ di paura ogni tanto, visto che sì, il motorsport è meraviglioso, ma anche molto pericoloso?
La paura c’è sempre. Pur essendo molto giovane ha fatto un incidente brutto a Portimao nel 2020 quando aveva solo 14 anni, dove si è rotto una gamba e poteva andare anche peggio. Oppure ripensando ad una tragedia in una gara passata dove era presente anche lui si realizza che sarebbe potuto succedere proprio a tuo figlio. Però la vita non puoi viverla in questo modo, la devi prendere per quello che è con la consapevolezza che tutto può succedere. Precludere una cosa che ti piace dove, tra l’altro, ci sono degli strumenti che salvano la vita dei piloti molto di più di tanto tempo, non ha senso. Sai che è quello che piace a lui, che è quello che vorrebbe fare e d’altronde anche io quando guido, quelle poche volte che decido di fare ancora una garetta, so che può succedere qualcosa anche a me, ma quando guido metto il casco e non ci penso. Non puoi rinunciare a una cosa che ti piace per la paura che accada un qualcosa che non sai se accadrà.
Ci sono stati dei momenti in cui volevate smettere?
Abbiamo avuto dei momenti quando era più piccolo in cui andava molto forte ma peccava di carattere. Ci siamo chiesti se questo carattere nel tempo sarebbe riuscito a tirarlo fuori. La forza di Kimi è che certe cose non sembra che lo tocchino: le situazioni di non performance o i momenti negativi di risultati lui riesce ad affrontarli con tanta serenità. Quasi la sentiamo più noi la problematica che lui e bene o male nel tempo ha dimostrato sempre di riuscire a venirne fuori. La Formula 4 stessa lo scorso anno e la Regional quest’anno non sono sempre state facili eppure… lui ha una grande forza mentale che gli permette di saper gestire anche le cose negative nella maniera giusta. Solo dopo l’incidente di Portimao ha avuto un po’ di crisi e allora io me lo sono preso un po’ con me, l’ho fatto girare in Formula 4, me lo sono un po’ coccolato da papà e poi è tutto tornato a posto.
La passione di Kimi parte da te: tu come hai iniziato a correre?
Io ho iniziato molto tardi perché le possibilità economiche non c’erano. Ho fatto una carriera abbastanza brillante e sono arrivato anche a dei livelli alti. Probabilmente non ho saputo gestire la mia persona per essere al momento giusto nel posto giusto. Kimi, ad esempio, si è trovato attorno a sé fin da piccolo persone che lo hanno saputo indirizzare verso la giusta destinazione, prendendo decisioni anche di cambio categoria un po’ azzardate ma sempre nel momento giusto. Io ero da solo, non avevo né esperienza né qualcuno che mi guidasse o mi insegnasse a gestirmi. Purtroppo una serie di situazioni non sono andate come dovevano e mi sono ritrovato fuori a programmi ufficiali per un nulla praticamente.
Il tuo essere pilota ha influito sul tuo rapporto con lui?
Non posso dirti una percentuale di quanto abbia influito, ma è chiaro che abbia cercato di insegnargli tutto quello che sapevo e che ho imparato in questi anni in pista. Nelle volte che lui ha avuto un dubbio ho potuto dargli delle informazioni che lo hanno aiutato a risolverlo. Ho potuto raccontargli cosa succede in certi scenari di gara, passandogli tante informazioni che lui ha sicuramente memorizzato e poi, quando si è trovato in quelle situazioni, ha saputo gestirle meglio.
Essendo parte di questo mondo da tanto lo hai visto anche cambiare. È un motorsport diverso quello di ora rispetto a quello di quando hai iniziato?
È cambiato il mondo, non solo il motorsport. Una volta ci si trovava in piazza a una certa ora perché tutti i ragazzi sapevano che a quell’ora ci si trovava, adesso ci si scrive sui social e si decide dove andare. Il motorsport dell’epoca era molto più artigianale, basta vedere le immagini della Formula 1 degli anni 70 e quelle di adesso. Adesso ci sono tante situazioni che girano intorno a quello che è il puro rendimento e bisogna sapersi adattare. Non posso dirti quale sia meglio: è cambiato tanto, come tutto nel mondo.
Antonelli Motorsport: il tuo team. Cosa vuol dire avere la responsabilità del ruolo del team principal?
Io ho tre team, uno in GT, uno in Formula 4 e uno nei kart che ho fatto insieme a Kimi. La responsabilità di un team manager è in primis quella di far funzionare bene le cose in modo che la gente possa lavorare e non trovarsi da un giorno all’altro a casa, o almeno, questa per me è la priorità. Dopodiché bisogna fare i conti con tante cose: il budget, le prestazioni, l'affidabilità delle vetture, l’immagine che si ha come squadra… è un lavoro importante a 360 gradi e non sempre si riesce a farlo al 100% perché l’impegno che serve è davvero tanto grande. Io ho iniziato col team quando ho smesso di correre nel 1993 e da una Peugeot 106 sono pian piano cresciuto e qualcosa di buono sono riuscito a farlo.
E com’è andata questa stagione?
In GT siamo in lotta per il titolo Pro-Am, mentre in Formula 4 quest’anno ho deciso di lavorare con una ragazza, Tina Haussmann, con la quale sono riuscito ad ottenere ottimi risultati e sono molto contento del lavoro fatto insieme perché è cresciuta tantissimo. Ho fatto una scommessa con la sua famiglia dicendogli che era l’anno buono per investire su di lei e che secondo me aveva molto potenziale. Abbiamo vinto il campionato italiano femminile e l'Euro 4 femminile. Con i kart invece abbiamo iniziato a luglio e abbiamo circa otto piloti, abbiamo partecipato al mondiale OK JN e abbiamo chiuso secondi mentre con i professionisti quinti.
Tra l’altro a Misano ha corso anche Andrea con la tua Mercedes. Com’è stato averlo al volante del tuo team per un weekend?
Imola era andata male e lui sarebbe stato fermo per un sacco di tempo fino alla seconda tappa del Formula Regional quindi ho chiesto a Mercedes se potevo metterlo in macchina anche per allenarlo un po’ visto che i test sono limitati. Lui è un professionista, quindi averlo come pilota per un giorno è stato molto bello perché ci si lavora bene, capisce subito come sistemi la macchina, gestisce le cose professionalmente e che dire, i risultati parlano da soli: abbiamo portato a casa la vittoria e penso che ce la ricorderemo per un bel po’.
Quest'anno hai corso al Mugello e lì i ruoli si sono invertiti! Era Andrea a seguire te dal muretto e a parlarti in cuffia…
Sì! Lui ha detto che era agitato, io invece ero tranquillo: di solito è il contrario! Questa è un po’ la dimostrazione che chi è in macchina non si rende conto di quelle che sono le emozioni che si provano fuori e viceversa, no? Il mio obiettivo, il mio sogno diciamo, è che prima che sia troppo tardi io possa fare una gara insieme a lui. Dovevamo correre qui ad Imola ma poi non ci sono state le condizioni perché lui era impegnato con il simulatore in Inghilterra, però ci terrei tanto.
Il prossimo anno vi vedremo nel paddock della Formula 2. Sarà un anno importante e c’è già tanto in gioco, come vi state preparando e quali sono i vostri obiettivi?
Se sei un pilota normale fai un percorso e ci metti un determinato tempo ma se sei un pilota speciale, quindi vuoi diventare uno dei numeri uno, devi essere capace di fare anche dei salti e con Kimi abbiamo fatto questo: dal Formula Regional andrà direttamente in Formula 2, saltando la Formula 3. Ora starà a lui dimostrare quello che sarà. Poi non ha la pressione di dover dominare al primo anno: si troverà in una condizione molto positiva: quella dell'outsider che può puntare in alto. Quando arrivi da campione hai una grande forza dentro di te perché da una parte sai di non dover dominare subito e dall’altra la consapevolezza che le cose le sai fare. Vedremo quello che succederà, sicuramente non deve pensare di strafare solo perché si trova in quel paddock. Come Verstappen è saltato subito in Formula 1, facendosi direttamente lì un’esperienza che ha decisamente dato i suoi frutti, secondo me Mercedes ha fatto un'ottima scelta con Andrea.
Lo aiuterai anche in questo passo?
Lo aiuterò ma in un modo diverso. Non è più come una volta, quando gli spiegavo come affrontare le curve: oggi si tratta di gestire alcune situazioni che io, seppur in misura minore, ho provato sulla mia pelle. Lo consiglierò, gli dirò sempre la mia e lo seguirò in ogni passo.