Parla dritto, Kimi. Andrea Kimi Antonelli, rivelazione italiana del Mercedes Junior Team che per tutti ormai, dentro e fuori dal paddock, è solo Kimi. È educato, sicuro, non dice mai una parola fuori posto. Ha solo quindici anni ma sembra uno di quei piloti navigati che con la stampa hanno imparato, nel tempo, a saperci fare.
Una macchina da guerra nel corpo di un ragazzo sorridente, speranzoso. Nato nel 2006, Andrea Kimi Antonelli è la scommessa di Prema, che quest’anno lo seguirà nel Campionato Italiano di Formula 4, ma anche quella di Toto Wolff, che dal 2018 - quando Kimi aveva solo dodici anni - lo ha accolto nel team di giovani piloti dell’orbita Mercedes, seguendolo passo dopo passo per aiutarlo a raggiungere le vette del mondo del motorsport.
Porta il nome dell’ultimo Re di Maranello ma assicura, forse per la milionesima volta, che no, i suoi genitori non gli hanno dato quel secondo nome in onore di Kimi Raikkonen. La storia è un’altra, e ce la racconta qui, tra paure che non ci sono, rischi che è pronto a prendersi, un incontro speciale con Lewis Hamilton e George Russell, un unico mito, Ayrton Senna, di cui ammira “l’aggressività in pista e la dolcezza nella vita” e un futuro in pista che ha imparato a prendere con ottimismo, senza farsi divorare dalle aspettative degli altri e dall'ansia di dover emergere a tutti i costi.
Kimi, partiamo dal grande step che hai fatto recentemente: il passaggio dai kart alle monoposto. Com’è andata?
Direi bene! Ovviamente la macchina è molto diversa da un kart. In termini di grandezza, pesantezza e potenza è completamente diversa quindi il passaggio per me non è stato semplicissimo, diciamo che è un bello step. Però ho avuto una fortuna che tanti altri piloti non hanno perché, grazie a mio padre che ha un suo team, ho avuto l’occasione di fare qualche test. Quindi quando ho fatto il passaggio non ero proprio spaesato, avevo già un po’ di conoscenza e le cose sono arrivate in modo piuttosto naturale.
Il tuo esordio nel Campionato di F4 ha stupito tutti e poi è arrivata la tua prima vittoria ad Abu Dhabi. Insomma ci sono i presupposti per un buon 2022. Che cosa ti aspetti da questa stagione?
Voglio vincere il campionato. Imparare il più possibile dentro e fuori dalla pista. Per me questa fase è fondamentale perché ho davvero la possibilità di fare bene e voglio dare tutto per riuscirci. Abbiamo sì fatto un campionato UAE ma in Europa sarà tutto molto diverso quindi c’è da lavorarci su.
Perché sarà diverso?
Cambieranno le gomme e anche le piste sulle quali correremo, quindi dovremo vedere come si comporterà la macchina. Però ci sono tutti i buoni propositi per fare più che bene quest’anno.
Il tuo anno è anche iniziato con la presentazione della squadra Mercedes di Formula 1 e della W13. Come è stato?
È stata un’esperienza bellissima e sono molto grato a Mercedes per averla resa possibile. La loro organizzazione è stata perfetta e sono la prima squadra a realizzare una cosa del genere per i piloti Junior della loro Academy. Lì ho potuto vedere come lavora la squadra, quante persone ci sono dietro e ho visto da vicino la W13, anche durante lo shakedown, e rendermi conto dei livelli a cui è attivata la Formula 1.
Hai avuto modo di parlare anche con Hamilton e Russell?
Sì, sono stati gentilissimi e disponibili. Molto simpatici, non pensavo fossero così aperti e alla mano. Scambiare due parole con loro per me è stato un sogno e farmi dare dei consigli da un sette volte campione del mondo non mi è sembrato vero.
Invece con Toto Wolff, a cui devi il tuo ingresso nell'Academy Mercedes, che rapporto hai?
Con Toto ho un rapporto molto bello, a lui devo tantissimo nella mia carriera. Ci sentiamo spesso anche se purtroppo ci vediamo poco. Mi ha più volte invitato a seguire le gare di Formula 1 ma quasi sempre coincidevano con i miei impegni nei weekend di gara. Poi ovviamente lui è impegnatissimo con la Formula 1 quindi le occasioni di incontro non sono molte.
C'è un pilota, di oggi o del passato, a cui ti ispiri?
Tra i piloti del presente, per stile di guida e capacità, mi piacciono molto Max Verstappen e Lewis Hamilton. Però la mia vera ispirazione è Ayrton Senna. Anche se non ho mai potuto “viverlo” come pilota, perché sono nato troppo tardi per vederlo correre, lui resta la mia più grande fonte di ispirazione.
Perché?
Perché aveva qualcosa che nessun altro ha mai avuto. Era un pilota estremamente aggressivo in pista ma fuori dalla macchina aveva una dolcezza unica. Cercava di aiutare molte persone, i bambini in difficoltà in Brasile ad esempio, ed era sempre pronto a battersi per ciò che riteneva importante.
Tuo padre, che ti ha trasmesso questa passione, oggi come vive il tuo successo?
È molto contento per ciò quello che sono riuscito a fare. Sa che la strada è lunga e difficile ma sa anche che ho le capacità per fare bene. Lui e la mia famiglia mi supportano sempre e per me non sono solo importanti ma direi che sono fondamentali, soprattutto in questo momento in cui ho fatto il grande passaggio dai kart alle monoposto. Sono sicuro che senza il supporto di mio padre non potrei mantenere il livello che ho adesso, lui è stato e rimane importantissimo per il mio percorso.
Sei giovanissimo ma devi già fare una vita “da adulto” tra alimentazione corretta, allenamenti, interviste e moltissimi impegni. Ti pesa mai?
Con tutti questi impegni sto poco a casa quindi non passo molto tempo con gli amici, però per me non è molto rilevante perché ciò che faccio è davvero quello che mi piace e so che in questo momento sto costruendo il mio futuro. Ovviamente certe volte vorrei passare del tempo con gli amici ma alla fine so che devo accettare tutti questi sacrifici per riuscire nel mio obiettivo.
C'è stato un momento in cui hai davvero pensato: "Ok questo non è più solo un divertimento ma è il mio futuro?"
L’ho capito quando sono entrato nel Mercedes Junior Team nel 2018. Lì mi sono reso conto che c’erano delle persone, delle persone molto molto importanti, che credevano in me, nella mia crescita e nelle mie capacità.
Avevi solo dodici anni, non ti ha messo pressione realizzare quanto importante fosse questo passaggio?
Sì, all’inizio sì. Quando sei appoggiato da una casa così grande, che ha vinto e sta continuando a vincere tantissimo, la pressione c’è. Mi sembrava di avere gli occhi puntati addosso da tutti, non solo da quelli che ti supportano ma anche dai rivali o semplicemente dagli appassionati. Però poi con il passare del tempo l’ho gestita e l’ho trasformata in positività: so che queste persone credono in me e so che mi aiuteranno, quindi io devo solo cercare di fare del mio meglio e continuare a migliorare.
Ci sono piloti, nel tuo campionato o in altri, che secondo te faranno davvero carriera?
Credo che quest’anno i piloti più forti contro cui mi scontrerò saranno proprio i miei compagni di squadra. Anche loro sono supportati da Academy di case costruttrici importanti e hanno le capacità per fare bene e fare strada in futuro. Però a questo punto della nostra carriera è difficile sapere chi riuscirà ad emergere e chi no, ci sono troppe varianti.
Nella tua carriera hai già dovuto affrontare un brutto incidente, a Portimao nel 2020, nel quale ti sei fratturato una gamba: hai avuto paura di tornare in pista dopo quanto successo?
Dopo l’incidente un po’ di confidenza la perdi. Non sai mai se potrai ritornare in forma come eri prima dell’incidente, quindi ti fai delle domande. Io molte volte mi chiedevo se sarei mai riuscito a tornare al livello di prima, quindi diciamo che c’era più l’insicurezza che la paura. Quando torni in pista la paura non c’è più. Ci ho sicuramene messo un po’ a ritrovare la confidenza, soprattutto in bagarre, ma quando ti metti il casco accetti il fatto che il motorsport possa essere pericoloso, accetti i rischi e anche l’ipotesi di poterti fare male. Questo è il motorsport.
L'ultima domanda devo proprio fartela: ma è vero che il tuo nome non c'entra niente con quello di Kimi Raikkonen?
È vero! Me lo chiedono tutti ma giuro, non c'entra proprio niente. I miei genitori volevano darmi un secondo nome straniero e un loro amico gli ha suggerito Kimi. A loro piaceva, stava bene con Andrea e con il mio cognome, e me l'hanno dato. Poi tutti hanno iniziato a chiamarmi Kimi e la carriera in pista crea subito il collegamento con Raikkonen ma no, non è voluto!