Due mesi fa era brutto, cattivo e altoatesino. Era il talento al quale mancava sempre il centesimo per arrivare all’euro, che cambiava staff – preparatori e allenatori – per sfizio più che per necessità, quello che ok il Master 1000 di Toronto, ma vuoi mettere Pietrangeli?, quello che ingrato ed egoista rinunciava alla convocazione in Nazionale per la Coppa Davis, e del resto aveva scelto già da teenager di spostare la propria residenza da San Candido a Montecarlo; pensi che ambiente ne può venir fuori, non c’è più morale, contessa. Leggeteli oggi, dopo la prima vittoria in carriera contro Novak Djokovic alle Atp Finals, i titoli e gli articoli su Jannik Sinner. Come si cambia, eh?
In due mesi dal “caso Nazionale” – era il titolo di Sportweek – il ventiduenne altoatesino ha fatto incetta di figuroni ed è diventato orgoglio d’Italia: ha vinto gli Atp 500 di Pechino e Vienna, è salito sino al quarto posto nel ranking mondiale, laddove era arrivato solo Panatta (quando non solo non esistevano il web né i telefonini, figurarsi gli smartphone, ma la tv, per chi ce l’aveva, era in bianco e nero, per dire) e ha battuto due volte Medvedev, una Alcaraz e, appunto, ora Djokovic, che rispettivamente sono terzo, secondo e primo, dunque tutti davanti a lui, appunto nella classifica Atp.
E anche ieri, in una vittoria che, per prestigio, lo stesso Sinner ha messo sul podio tra quelle ottenute in carriera e nella quale il pubblico italiano ha fatto un tifo da arena, provocando e venendo provocato da Djokovic nemico di una sera, comunque di fondo si percepiva la cultura di quello che non è un Paese per giovani. Perché sì, era necessario picchiare, perché Sinner ha potuto preparare la partita avendo più tempo a disposizione, perché il pubblico gli ha dato una mano, perché questo e perché quest’altro, mille distinguo sciolti poi nel “delirio Sinner”, non fosse che la realtà è invece più semplice: Sinner – che tra gli azzurri contemporanei lo è già – è destinato a diventare il tennista italiano più forte di tutti i tempi, arriverà a vincere uno Slam e probabilmente anche nella top three internazionale, il giorno in cui avrebbe battuto Djokovic sarebbe comunque arrivato e, se non è Alcaraz – almeno nella percezione –, questo accade anche perché gli spagnoli il loro nuovo fenomeno lo coccolano e non stanno lì ad attendere l’inciampo per bruciarlo dopo averne fatto un idolo.
In Italia sì, e lo si fa per pensieri, opere, omissioni. La scelta di non partecipare alla Davis, per dire, si è rivelata non solo funzionale, ma addirittura perfetta in termini di dosaggio di forze e programmazione, al punto che tutti coloro che oggi lo esaltano non dovrebbero fare fatica ad ammettere che aveva ragione lui. E che di quella polemica non c’era alcuna necessità perché, Nazionale o no, non è che Sinner debba rispondere a qualcuno in particolare – pubblico e media, s’intende – per una scelta del tutto individualistica in uno sport che è per definizione individualista, e per far piacere a chi? Insomma: Sinner vincerà, inciamperà, otterrà trionfi memorabili e sconfitte anche inattese, magari pure in qualche derby, e non per questo, non necessariamente, quel giorno sarà da sbertucciare o da considerare un fuoco di paglia, anche se è inevitabile che da qualche parte il tenore dei commenti darà quello. Se a 22 anni è lì, non è per caso, e se non ha ancora raggiunto il suo zenit agonistico, scelte e score raccontano che non si può approcciarsi a lui pensando che può solo crescere. Certo, lo farà, ma tra i migliori c’è già, e con quelli può vincere o perdere. Meglio abituarsi all’idea.