Diego, non so da dove iniziare. Fisso una pagina bianca e indosso guanti del rispetto da bravo napoletano. Cerco di trovare abbastanza dignità per poter parlare di te. Non so se ci riuscirò, ma non importa. So che mi perdonerai.
Non ve lo presento, perché non avrebbe senso. La bibbia non si introduce la bibbia la si conosce e basta. E oggi se ne va un Dio che non ha costruito la terra in sette giorni ma cazzo se ha inventato il calcio. Quello vero. Fatto di lacrime e trofei popolari. Quello talmente bello che io, che l’ho sempre odiato, mi inginocchio sul dolore di un lutto così grande. Il calcio così bello che è riuscito a far innamorare anche un ragazzino ingrato come me. Mi hai dato l’ostia e io manco te l avevo chiesta, che stronzo che sono stato.
Il 5 luglio 1984, io non ero ancora nato e tu stavi inventando la mia città. Ricordo con meraviglia i racconti dei miei genitori su quel giorno. Erano tutti fermi, innamorati e allo stesso tempo confusi dalla tua eccellenza.
Sei arrivato trentasei anni fa , sei partito, ma in realtà non te ne sei mai più andato. Sei rimasto silenzioso nelle voci di questi quartieri. Perché Napoli è cosi, una volta che ti sposa non divorzia, neanche quando sbagli.
Diego, ho le lacrime agli occhi guardando il tuo ritratto in salone. Pensavo di essere diventato grande e mi hai appena battezzato di nuovo bambino.
Sei stato nel respiro di ogni ragazzino affaticato che gioca con un supersantos in cortile, sei stato il primo disegno alle elementari, sei stato un inno e sei stato una preghiera.
Sei stato tutto per questa città e io non troverò mai le parole per ringraziarti.
Volevi diventare l’idolo dei ragazzi poveri della nostra città. Volevi dare una voce a chi era stato dimenticato. E vafamokk diè, ci sei proprio riuscito. È grazie a te se il sogno di uno stadio si riflette negli occhi del bambino che beve da una fontana. Che si sbuccia il ginocchio e si rialza. Che suda e che combatte come se quei 10 amichetti da parco fossero la nazionale italiana. Che soffre, ma non si fermerà mai.
Hai insegnato il dolore e il rispetto per il pallone, anche a chi non lo amasse. Perché vedi Diego io oggi devo confessarmi. Io il calcio non l’ho mai neanche seguito eppure sono stato fedele praticante della tua chiesa. Che andava oltre lo sport e toccava la passione, qualsiasi essa fosse. Perché quando hai vinto il nostro primo scudetto tu ci hai insegnato l’immensa forza di noi dimenticati. Di noi ultimi. E allora si Diego nostro, sei così grande che non ti si può ridurre a un piccolo campo da calcio.
Tu sei tutto e lo sarai per sempre, e questa città che tu tanto chiamavi casa ti sarà per sempre riconoscente perché eravamo terra e ci hai reso roccia.
Dio, grazie
Non ho altro da dirti, perché sarebbe inutile. Ho solo voglia di svestirmi e mettermi a letto, chiudermi sotto le coperte e sentire le urla dei tuoi tifosi nel silenzio della mia malinconia. Ho voglia di addormentarmi e sognarti. Ho voglia di Napoli e solo tu puoi regalarmela.
Diego. Armando. Maradona.
Padre nostro perdonaci, ma oggi si fa la sua volontà.
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