Nico Rosbeg lo raccontò a cuore aperto, dopo il suo ritiro dalla Formula 1, come l'ombra del padre Keke lo inseguì per tutta la sua carriera nel mondo del motorsport. Come a dirgli che anche lui doveva vincere un titolo, anche lui doveva dimostrare di essere un vero "Rosberg". Una pressione a cui non si pensa spesso, quando si guarda la strada "semplificata" degli figli d'arte in Formula 1.
Entra dalla porta principale, tra conoscenze e sponsor assicurati, agevolati poi dallo storytelling della bella storia di passaggio generazionale facile da raccontare, meno da vivere.
Lo sa bene Max Verstappen a cui è stato chiesto, fin da bambino, di vincere tutto quello che non vinse il padre Jos, pilota mediocre di un'epoca di fenomeni. Forse non glielo ha mai chiesto a parole, questo ce lo racconterà un giorno il Max più maturo, ma sicuramento lo ha fatto con i fatti. Un padre duro, competitivo, sempre presente, pronto ad abbandonarlo in autostrada dopo l'ennesimo errore stupido, fatto per foga, all'epoca dei mondiali kart.
Lo sa bene anche Mick Schumacher, che nel padre vede un mito assoluto - come tutti noi - ma che sullo stesso cognome è chiamato a cercare di ripetere un impresa, condividendo lo stesso sogno dell'uomo che lo ha cresciuto. Appesantito ulteriormente poi, dall'ombra (e certamente anche dal dolore) che la condizione del padre porta con sé.
E gli esempi dei figli d'arte in Formula 1, come dei nipoti, dei fratelli o dei parenti più prossimi, potrebbe andare avanti a lungo. Da Senna a Piquet passando per Ralf Schumacher e Giuliano Alesi. Facile quindi chiamarli privilegiati perché, questo è vero, per loro entrare nel mondo del motorsport è stato più semplice che per altri, ma non così facile comprendere le loro difficoltà nel rapportarsi con figure conosciute, e con un paragone eterno a cui dovranno sempre rendere conto.
In questo elenco infinito di grandi e piccoli figli del motorsport si inserisce anche Carlos Sainz, che con suo padre oltre al cognome, condivide anche il nome. Carlos Sainz Senior, leggenda spagnola del rally e tre volte trionfatore della Dakar, ha trasmesso al figlio Carlos l'amore per le quattro ruote, che si è però spostato sulle Formula - abbandonando il sogno rally - dopo un autografo di Fernando Alonso.
La Ferrari nel cuore, l'onore e il privilegio di vivere i paddock da vicino, senza però la pressione di un padre che quel mondo lo conosce così bene da diventare primo consigliere e ultimo giudice.
Papà Carlos per il giovane Sainz è sempre stato un amico, una spalla quando si trattata di lavoro, un collega quando c'era da divertirsi. E il fatto che Sainz Senior sia ancora in attività, terzo alla Dakar 2021 dopo averla vinta nel 2020 alla bellezza di 58 anni compiuti, rende il rapporto tra i due più equlibrato di molti altri.
Papà Carlos ha accompagnato il figlio a Fiorano, nei suoi primi giorni alla guida della Ferrari, ma nei box stava in un angolo. Ascoltava, guardva il figlio muoversi, parlava quando interpellato. Mai troppo presente, mai davanti alle scelte del suo ragazzo.
Si dice che questa alchimia tra i due sia anche il segreto anche di una vittoria fondamentale per Sainz, quella del 2010 a Macao in Formula Bmw: i due Sainz avrebbero infatti percorso, alle primissime ore del mattino, l'intera pista a piedi, muniti di torce. A controllare tutto: curve, punti di staccata, possibilità di sorpassi ma anche tombini, avvallamenti, insidie nascoste.
Un lavoro che papà Carlos ha imparato in anni e anni di rally e che ha insegnato al figlio, nonostante questo abbia scelto il mondo delle monoposto. Un lavoro di comprensione "alla pari" e di aiuto da collega, ecco forse che cosa differenzia il giovane Sainz da tutti gli altri figli d'arte della Formula 1.