“Maremma impestata lurida!”
Maurizio agita tutto il corpo per provare a liberarsi della cenere, che continua a nevicargli tra pancia e gambe. È teso, Maurizio. La moglie ha provato a preparargli una cena fredda, a base di mozzarella e pomodori, ma lui si è limitato a un cenno negativo col capo e ha bestemmiato a mezza bocca San Bernardino di Massa Marittima, cercando di non farsi sentire.
Ora il suo pantalone scuro ha un nuovo foro. Glielo fa notare proprio lei, Marina, che passa giocosamente il palmo della mano destra sul tessuto sbrindellato e fa un movimento ondulatorio col capo, quasi a voler dire “abbiamo 10 milioni di euro in banca, che ne dici di investirne 30 su un pantalone nuovo?”. Ma senza nessun tipo di rimprovero, a mo’ di divertita annotazione dell’unicità di suo marito.
“Ahhh, ‘un è rigore questo?”
Marito che però ora è completamente rapito dallo schermo, dal reciproco sgomitarsi di Dzeko e Chiellini. Marina sorride allontanandosi, lasciando la sua metà immersa in una sorta di sala VAR privata.
Rimasto solo, Maurizio valuta se accendere o meno un’altra sigaretta, constatando scoraggiato che restare sotto le 40 al giorno sta diventando sempre più difficile, impossibile a tratti.
È in piena analisi della pelle dura e ingiallita di indice e medio quando Di Bello assegna il rigore alla Roma.
Il fischio lo fa sobbalzare come un urlo nella notte. Maurizio segue i movimenti di Veretout a pupille dilatate.
“Ovvelandate appia’nculo…”
Le braccia smunte si alzano al cielo all’unisono, e ora la sigaretta è quasi un obbligo, un oggetto della celebrazione. Oggetti che diventano presto tre, poi quattro. Sta praticamente fumando il filtro della quinta sigaretta di fila quando Di Bello indica il dischetto dopo il mani di Pellegrini.
“’Un è rigore! ’Un è rigore!”
Maurizio urla così tanto che la moglie si precipita dalla cucina al salotto, trovandosi a quel punto però solo di fronte alla dolorosa presa di coscienza del marito:
“Ma ‘un te le potevi ficcà ne’ culo quehe’ mani?!”
Marina fila via silenziosa, e lo fa con un tempismo perfetto: il contropiede di Veretout è fulmineo, bruciante. Maurizio è pietrificato, quasi non riesce a realizzare. Quando lo fa, solleva ancora le braccia in alto ma sente che qualcosa dentro lo muove. Stavolta no, non basta un gesto tanto modesto, morigerato. Stavolta non è esultanza, è una fregola che parte da cervello e arriva fino alle gambe, la vera valvola di sfogo.
Di fatto quasi non se ne rende conto, ma reminiscenze dei fasti napoletani spingono a un’armoniosa altalena delle sue spesso inattive gambe. E mentre le braccia si incrociano, arti inferiori tarantolati fanno su e giù rapidamente, festeggiando il vantaggio della Roma. È difficile da credere, lo so. Ma è vero.
Sta ballando la tarantella.
Dopo, c’è poco altro da dire, solo l’inquietante rituale dell’intervallo delle partite, quando mette la tv sul muto e fissa appena sopra lo schermo, avvolto da una nuvola di fumo che si fa man mano sempre più larga, e sentite bestemmie di stampo tardonovecentesco sul 2-2 di Ronaldo.
Ma quello che conta – e che, ahinoi, non resterà – è che Maurizio Sarri, nonostante il pareggio, ha goduto come forse era da tempo non faceva - ne siamo certi - per la prima in panchina di Pirlo.