Vuoi tu prendere come tua sposa la profilassi contro il Covid19 e onorarla e amarla finchè virus non sparisca? Negli Stati Uniti d’America e con l’americanissima NBA è andata così, con tanto di anello al dito. Un anello per davvero! In Italia e con l’italianissimo calcio è stato tutto più easy: profilassi approcciata in qualche modo e poi vediamo se ce la dà (l’immunità)!
Il calcio in Italia è ricominciato, oggi parte pure la Serie A, ma le misure messe in campo per la prevenzione del contagio da Coronavirus non offrono particolari novità rispetto a quanto ognuno è chiamato a fare. Anzi, si predica l’importanza delle norme, ma l’impressione è che importi a tutti molto poco. E su questo, francamente, possiamo anche condividere. Perché certe attenzioni e certe prescrizioni contrastano con l’essenza e la natura dello sport stesso. E poi, diciamolo chiaramente, in Italia siamo passionali. E passionali oltre il limite quando c’è di mezzo un pallone. Così, mentre gli indignados del salutismo stigmatizzano le scene che arrivano da Napoli dopo la vittoria della Coppa Italia da parte del Napoli, certe scene finiscono col meritare umanissima comprensione. La loro squadra ha vinto. E hanno festeggiato. Punto. Si può biasimarli? No! No perché il mondo a cui fanno riferimento, quello del calcio nello specifico, dimostra di subire scelte più che aderire a necessità. Con i giocatori che stanno in panchina con la mascherina e a un metro di distanza e poi una volta in campo si marcano a uomo. Cioè, così non è credibile. E quindi anche chi guarda il calcio finisce col non crederci. Ecco perché, senza voler assolutamente rientrare nella cerchia (altrettanto odiosa come quella degli indignados salutisti) di quelli che “complotto, il coronavirus non esiste”, viene da chiedersi se si poteva fare diversamente.
Se si poteva, cioè, mettere in campo qualcosa di più specifico per poter godere del vero spettacolo che è il calcio e, allo stesso tempo, non considerare la questione profilassi come un dente da togliersi con qualche mascherina buttata là, tamponi rapidi, stadi senza pubblico e quarantene più o meno leggere per i calciatori. Perché ci si perdoni l’esempio sessista, in Italia, per il calcio con la profilassi, è stato come provarci con una donna utilizzando frasi a effetto, ma standard, senza crederci veramente e, per di più, senza metterci la fantasia. Sperando, poi, che vada tutto bene e che ce la dia …l’immunità dal Covid19.
Negli Stati Uniti, ad esempio, la profilassi l’hanno proprio sposata. Con tanto di anello! E non stiamo scherzando. Si tratta di un dispositivo che dovrà stare al dito di tutti i giocatori delle squadre dell’NBA che si presenteranno al Walt Disney World Resort di Orlando per le fasi finali del campionato. I vertici dell’NBA lo hanno commissionato ad Oura, un’azienda finlandese che si occupa di biomedica. E’ in titanio e rileva temperatura corporea, ciclo del sonno, funzioni respiratorie e battito cardiaco, prevedendo e monitorando i sintomi del Covid19 con settantadue ore d’anticipo rispetto all’effettiva comparsa del contagio. E è pure bello a vedersi, oltre ad avere una autonomia di più di una settimana e a monitorare tutti gli spostamenti di atleti, tecnici e dirigenti e ogni eventuale contatto con persone positive al virus. All’anello, ovviamente, si aggiunge una serie di ulteriori accorgimenti, più o meno sofisticati, che rende credibile anche verso l’esterno la delicatezza del momento storico. Il tifoso, chi guarda da fuori in genere, finisce inevitabilmente per prendere sul serio la situazione e, questo, gioca a tutto vantaggio della prevenzione, sia relativamente al virus, sia ai comportamenti irresponsabili.
Non è, insomma, chiedendo agli atleti di starnutirsi sul braccio che si evitano gli abbracci tra tifosi. Ma la SerieA non è l’NBA .