È il primo weekend della Superbike 2021 e, anche quest’anno, l’obiettivo di buona parte del paddock è attaccare Jonathan Rea, vincitore di sei titoli mondiali consecutivi. Ma il 2021 è anche il decennale del mondiale di Carlos Checa con il Team Althea di Genesio Bevilacqua, un’impresa straordinaria che gli appassionati ricordano ancora. Il casco, El Toro, la Ducati 1098 del team clienti sempre davanti alle ufficiali, il primo pilota spagnolo sul tetto del mondo della Superbike. Quell’anno, per il patron del Team Althea, arrivò anche la vittoria nella Superstock 1000 con Davide Giugliano. Ne abbiamo parlato direttamente con Genesio Bevilacqua, in questa intervista rilasciata in esclusiva per MOW.
Sono passati dieci anni dal titolo mondiale che hai vinto con Carlos Checa, l’eroe dei due mondi. Quanto è cambiata la Superbike?
“Beh, Carlos Checa è un argomento attuale, anche perché a luglio faremo una festa per celebrare questo anniversario. Ci saranno lui, ma anche Davide Giugliano che quell’anno vinse il mondiale stock, i tecnici, la stampa… La verità è che rispetto ad allora la Superbike è cambiata moltissimo. A prescindere dal valore tecnico, che può essere addirittura aumentato, è venuto a mancare un po’ il fascino del campionato con i suoi personaggi. Al tempo non era un mondo in secondo piano rispetto alla MotoGP come viene presentato adesso, ma un mondo che raccontava il motociclismo da corsa in maniera differente, a cominciare dall’uso di moto derivate dalla serie”.
“Negli anni questa cosa aveva davvero preso un posto importante nel cuore degli appassionati. Poi il ritiro di Troy Bayliss, quello di Max Biaggi e Carlos Checa. Quindici anni di Troy Corser, tanti altri personaggi importanti… E loro adesso non ci sono più. Logicamente raggiunta l’età hanno smesso, ma chi è arrivato dopo non ha sostituito il carisma di chi c’era prima. Poi ci sono tanti aspetti un po’ più politici, ma questo è un altro discorso”.
L’uomo da battere, Jonathan Rea, non fa la vita da scapestrato… È sposato con due figli.
“Rea è un grandissimo talento, probabilmente anche più di altri che ho nominato prima. Ma nel motociclismo contano sempre tante cose. Nella Superbike era il pilota a trasmettere la fantasia, la sua maniera di interpretare il motociclismo. Non solo vincere per poi ritirarsi nel motorhome, ma stare nel paddock, passare il tempo con i motoclub, rilasciare interviste particolari… Questa roba qui non la fa più nessuno. E poi c’è la televisione di mezzo, che onestamente trovo un po’ triste, e un regolamento che anche dal punto di vista dello spettacolo falsa le cose. Ci sono tre o quattro protagonisti, ma obiettivamente sono sempre quelli. Una volta c’erano tanti piloti in grado di fare gare clamorose, come Sylvain Guintoli per esempio”.
“Era un regolamento che permetteva a tutti di ben figurare. Adesso il problema più grande è che c’è una casa che, non facendo la MotoGP, ha tante energie da investire. Merito loro o demerito degli altri, ma non credo sia così corretto per la Superbike. Con una casa costruttrice che investe tantissimo è chiaro che poi, anche considerato che a guidarla c’è uno come Rea, non vince più nessun altro. Ora è arrivata HRC, che traghettai io nel 2019, ma anche la Honda è al palo che spera in un miracolo. Avrebbero bisogno che Bautista cominciasse a vincere qualche gara, o magari Haslam, anche se per quest’ultimo la vedo un po’ più difficile. E Alvaro è uno che nel 2019 ha buttato via un mondiale, forse con Ducati avrebbe potuto farcela”.
Pensi che l’abbia buttato via a causa di un clima ostico in Ducati?
“Io lo dico sinceramente. Ho carissimi amici in Ducati, manager che lavorano lì da molto, però con i piloti non sono mai stati bravi. Fanno sempre un gran casino e gliel’ho sempre detto. Chiaramente non si può dare la colpa ad un manager piuttosto che ad un altro, però questo vizio di dichiarare i propri mezzi superiori ai piloti - che può essere anche vero, ma va sempre dimostrato - ha fatto più danni che altro. Con Bautista avevano preso il ritmo, vittorie straordinarie, sembrava che Rea facesse la 300… Lì hanno cominciato a parlare di contratto e lui voleva tornare in MotoGP come gli era stato promesso, cosa che gli fu negata perché nel frattempo avevano trovato altri piloti. E la Ducati non è nuova a questa politica: dice una cosa e poi ne fa un’altra, pasticcia con i contratti… Così facendo hanno messo fuori gioco un ragazzo che sicuramente era un professionista. Avrà pensato ‘va bene, vado a vincere per loro ma questi non avranno mai riconoscenza per me’. Ed è un punto negativo. Poi chiaramente uno vince anche per sé stesso, ma questa è una situazione tipica che non va presentata ad un pilota del genere”.
Senza Alvaro la moto avrebbe fatto una grande fatica nel 2019. Si passava dal bicilindrico al V4 e se la moto non avesse fatto bene in pista per i Ducatisti sarebbe stato difficile da mandare giù.
“Certo. Ero a Misano quando gli dissero ‘o così o niente’, me lo ricordo. E lui non lo fece di proposito, però sai. Io dico che il bene più prezioso di una squadra, quando trova un pilota che mette a frutto gli investimenti - perché adesso la voglio mettere proprio sul piano commerciale - deve fare in modo di metterlo nella situazione più positiva possibile. Invece si è rotto l’equilibrio e abbiamo visto tutti come è andata a finire”.
Credi che in MotoGP sia cambiato un po’ il paradigma? Ducati ha vinto due gare dove nessuno si sarebbe aspettato di vederli davanti.
“Beh, penso che non si possa perdere sempre, qualche volta vinci. Secondo me Dovizioso aveva ottenuto il massimo contro un Marc Marquez al 100%. Miller è veramente forte, ed è forte anche Bagnaia, ma dal mio punto di vista tra moto e piloti dico che ora la Desmosedici è superiore ai piloti. E lo dimostra il fatto - qui bisogna dare merito a Ducati - che hanno fatto una moto pazzesca con cui vanno forte in tanti. Come a suo tempo in Superbike, quando avevo trovato un elemento straordinario, un Carlos Checa ormai a fine carriera che ha fatto esplodere la 1098, diventata una moto invincibile. Ma ci vincevano anche altri e quando c’è una moto straordinaria succede così. Quindi ecco, credo che Ducati meriterebbe assolutamente il titolo in MotoGP”.
Più per merito della moto rispetto ai piloti però?
“Non posso pensare altrimenti, anche se sia Jack che Pecco hanno un margine di crescita. In questo momento però la moto è superiore. Si fa presto a dirlo: in accelerazione è più potente e non fanno nessuna fatica in staccata perché arrivano con un abbrivio di 12-15 Km all’ora in più. E per un pilota coraggioso e giovane è una meraviglia potersi fidare così in staccata. Prendi un Mir, o un Vinales… quelli si devono guadagnare ogni metro con una cattiveria impossibile. Ripeto, non voglio togliere merito ai piloti Ducati, ma se dai quella moto a Marquez, o allo stesso Mir, probabilmente vincerebbero tutte le domeniche. La moto è estremamente superiore in questo momento. E la cosa mette in risalto Ducati facendo riflettere sulle grandi storie che girano sempre attorno all’HRC. Sono grandi potenze, ma non sono mai stati imbattibili come vogliono far credere. Quando un pilota sta dando il massimo come ha fatto in passato Dovizioso, che non sarà Marc Marquez ma è stato sempre veloce, quel pilota devi tenerlo. Così come avrebbero dovuto tenere Jorge Lorenzo, credo che in quel modo avrebbero vinto almeno un paio di mondiali. Ecco perché secondo me, a livello manageriale, spesso non si sono dimostrati all’altezza”.
Ti sei schierato contro un servizio di Sky, andato in onda prima del GP di Jerez, in cui si prendevano le difese di Valentino Rossi. Perché?
“Ho capito a cosa ti riferisci. È un post che ho scritto da appassionato. Una roba che mi scandalizza, ma non per Valentino Rossi. Io ho lavorato vicino a lui e lo stimo tantissimo, perché ha fatto delle cose grandissime e ha continuato a farle anche negli anni in cui non era certo il favorito. L’ho anche criticato a volte, ma ho sempre avuto stima per lui. Però credo che questa narrazione gli faccia più male che bene".
“È una cosa che ad un consumatore della pay tv non puoi proporre in quella maniera, secondo me è di parte. Ammesso che tu lo faccia per passione, fai leva in una maniera inappropriata nel consumatore generalista, ma pazienza. Però ci sono delle persone che vivono di motociclismo a 360 gradi e non gli puoi proporre servizi simili. Il cronista deve fare il suo lavoro, non può fare il tifoso. È contrario al principio del libero consumo, io pago un servizio per avere una cronaca illustrata nei fatti. Non puoi proporre un servizio dove attacchi chi ha osato dire una parola contro di lui in un suo momento difficile. Lo spettatore ha tutto il diritto di dire quello che vuole, sia in positivo che in negativo, sempre con educazione. Ma il cronista, che è pagato da tutti, dovrebbe essere super partes. Valentino non c’entra nulla. Per me è una vergogna, punto e basta. E lo ribadisco”.
Un’ultima cosa. Raccontaci Moto dei Miti.
“Faremo una grande festa il 17 e 18 luglio, ma due battute le faccio anche adesso. Moto dei Miti è stato il mio hobby per molti anni: moto che riuscivo a comprare, a guidare e via dicendo. Nel frattempo sono passati trent’anni. Il primo step l’ho fatto nel 2008, con la prima collezione ordinata in relazione alla mia esperienza, non alla storia del motociclismo. L’anno successivo è stato quello della morte di Paolo Pileri, volevo dare un po’ di lustro a quest’uomo che è stato un maestro per me. Poi nel tempo questo spazio è diventato un punto di riferimento per amici, collezionisti e stampa. Abbiamo fatto dei servizi molto belli nel corso degli anni. Ora è un’area sempre più importante, c’è una bella scenografia”.
Dalle foto sembra qualcosa che non hanno nemmeno in Giappone.
“E dalle foto è niente. Presto aprirò uno spazio espositivo molto più grande di quello esistente a fianco del reparto corse, quindi sarà tutto nella stessa area di 4 - 5 mila metri quadrati. Ci saranno circa 150 moto, tutte di interesse storico o sportivo, tutte moto da corsa”.
Dalle foto si vede quella che sembra una Honda VFR 750 Rumi...
“Si, è la moto di Fred Merkel. Ma anche la OW48R di Kenny Roberts, la moto campione del mondo di Marco Lucchinelli, la Honda NR 750 Oval Piston, c’è la Desmosedici di Casey Stoner che ha vinto realmente il campionato del mondo. Poi ci sono le ufficiali Honda di Capirossi… Tutte cose molto particolari”.