Daniel Pedrosa è stato uno dei piloti più vincenti degli ultimi vent’anni e, indiscutibilmente, uno di quelli disegnati finemente e con pazienza partendo da un foglio bianco, non certo uno stampato da matrice prodotto in serie. Oggi Dani compie 35 anni e ne sono passati già un paio da quando ha smesso di schierarsi in griglia la domenica. Se le moto arancioni che vanno forte in questo 2020 sono quelle austriache lo si deve in gran parte a lui, che secondo colleghi e addetti ai lavori è di gran lunga il pilota più dotato come collaudatore.
Lui che, per guardare gli altri dall'alto in basso, si è dovuto munire di podio. Sul gradino più alto sei il più alto e basta e, per un attimo, sei più alto della vita stessa. Pedrosa ha vinto tre titoli mondiali consecutivi, il primo in 125 nel 2003 e poi due nella quarto di litro contro Lorenzo e Stoner: piloti che rappresentavano una generazione di sfidanti affamati, diretti verso la MotoGP con l'unico intento di spodestare Valentino dal suo trono. Solo che a Dani ciò che era stato regalato nelle categorie più leggere è stato poi chiesto indietro, con gli interessi, dalla classe regina.
“Mi avevano detto che non avrei potuto correre nella MotoGP - ricorda lui nel biopic The Silent Samurai - come mi era stato ripetuto per tutta la vita: a scuola e con gli amici tutti dicevano che non potevo fare questo e quest'altro perché ero troppo piccolo. Quando la Honda mi ha chiamato è stato incredibile: erano persone che conoscevano tutto di moto e piloti e volevano me, non avevano dubbi”. Questa fiducia Pedrosa l'ha ripagata a suon di vittorie e da Honda non se ne è andato fino al 2018, l'anno del ritiro, che è anche l'unico dal 2002 in cui non ha vinto almeno una gara. Nel frattempo un Alberto Puig fresco di nomina aveva finito per considerarlo un pilota mediocre, così la motivazione che fa la differenza tra un gran risultato ed un piazzamento era venuta a mancare.
Ma di stagioni buone, da titolo mondiale, Dani ne ha corse tante. Ha vinto molto, addirittura moltissimo, ma mai abbastanza. C'è sempre stato un infortunio, una sfiga, una moto che ti si lancia addosso nel momento sbagliato. Ed è sempre il momento sbagliato, specialmente se la tua struttura ossea è talmente fragile da rendere apprensivi anche i colleghi.
“Fosse nato trent'anni prima sarebbe stato come Pablo Nieto, o Gresini - ha raccontato Livio Suppo, con cui abbiamo scambiato due parole per l'occasione - Piloti che a causa della struttura fisica non passavano in 500. Invece lui lo ha fatto, e nonostante il fisico non lo abbia mai aiutato ha sempre avuto un grandissimo talento ed una determinazione pazzesca. Oggi in griglia, nelle tre classi non c'è nessuno come lui.”
Suppo poi, che nei suoi anni in HRC ha creduto in Pedrosa anche nel pieno dell'era Marquez - quando il confronto si faceva a volte impietoso - ci racconta che non lo avrebbe mai lasciato andare in KTM: “Perché Dani faceva la differenza sia per questo suo fisico così minuto che per il suo approccio severo con qualunque novità. Il problema con i piloti, soprattutto se le cose non stanno andando benissimo, è che quando arriva un pezzo nuovo dicono che va meglio di quello vecchio solo per l'entusiasmo di cambiare. E questo è pericolosissimo per gli ingegneri. Invece Dani è sempre stato uno molto severo, quindi quando arrivava un pezzo nuovo faceva molte comparative con il vecchio e soltanto quando la modifica andava davvero meglio lui la approvava. Questa è una cosa che a volte può ritardare lo sviluppo, si fanno piccoli passi, ma è anche vero che sono passi in una direzione sicura”.
Così, mentre KTM cresceva di gara in gara, la Honda ha preso una strada diversa, diventando col tempo sempre più adatta a Marc Marquez e sempre più ostica per tutti gli altri: “Sicuramente la moto pare ogni anno più difficile, lo dice anche Crutchlow - ha aggiunto l'ex Team Manager Honda e Ducati - Poi dipende, se arrivi in un nuovo ambiente dove c'è grossa considerazione di te come è successo a Dani in KTM gli ingegneri ti ascoltano e riesci a fare un buon lavoro, ma se fosse rimasto in Honda sarebbe stato comunque poco considerato dai tecnici.” ha concluso Livio Suppo.
In fin dei conti però, è andata bene così. Tre titoli mondiali, 54 vittorie e 153 podi. Ha inventato lo stile che Marquez ha esasperato, guidando con il corpo completamente fuori dalla moto in percorrenza per poi rialzarsi in fretta - quello che a Sky chiamano il trick - ed aprire il gas a moto dritta. Ma la vera differenza Pedrosa l’ha fatta con la tenacia, con la voglia di lottare anche quando l’uomo col fucile è l’altro e tu sei quello con la pistola. Così si è fatto amare da tutti, con la grinta. Perché è ciò che devi fare se vuoi guardare tutti dall'alto, anche solo per un momento.