Nella storia del motociclismo la vicenda di Andrea Iannone non ha precedenti. 4 anni di squalifica sono pesantissimi per un pilota di 31 anni impegnato in MotoGP. Quando Noriyuki Haga venne trovato positivo all’efedrina, nel 2000, la Federazione gli tolse 25 punti e (di fatto) un mondiale con Yamaha in Superbike. Ma questa è un’altra storia. Per Andrea Iannone il TAS di Losanna ha accolto l’appello della WADA, la quale ha richiesto 4 anni di squalifica (una procedura standard, in quanto tarata sugli atleti impegnati in discipline olimpiche), più che sufficienti a chiudere definitivamente la carriera del pilota di Vasto. Andrea ha raccontato la sua versione della vicenda a Giorgio Terruzzi per il Corriere della Sera, ecco i passaggi più significativi dell’intervista.
Innanzitutto, Andrea spiega che il ricorso della WADA alla sentenza della Federazione (che aveva deciso di sospenderlo per 18 mesi) è scattato prima del suo appello al TAS, costringendolo quindi a fare altrettanto. Non è vero quindi che Andrea -come ha sostenuto più di una testata - avrebbe dovuto incassare la squalifica senza ricorrere in appello. Poi Iannone spiega che “per Wada perdere l’appello avrebbe significato modificare i protocolli e le procedure antidoping, un costo esorbitante”. D’altronde, come detto, le sanzioni dell’Agenzia Anti-Doping sono ritagliate sugli atleti che concorrono alle olimpiadi.
Su di una possibilità di ribaltare la sentenza Iannone non si fa illusioni, in quanto l’unica strada percorribile sarebbe quella del Tribunale Civile svizzero che però “è un procedimento costoso e forse inutile anche perché sento il bisogno di disintossicarmi da tutto questo. Ho speso centinaia di migliaia di euro. Per niente. (…) La sentenza, punto 158, dice che anche esponendo elementi più concreti, nulla sarebbe cambiato. Nemmeno l’esame del capello, negativo e ben più rilevante, è stato preso in considerazione”.
In merito al proprio futuro invece l’ex portacolori Aprilia sembra essere indirizzato verso una sorta di Academy, un modo per rimanere nell’ambiente e dare il proprio contributo sul fronte manageriale. Non subito però: ”Non esiste ancora un piano B, serve ripristinare una calma utile. Non sono il lutto perché c’è chi di questi tempi subisce ben di peggio. Ma ciò che è accaduto a me non lo si può capire dall’esterno. Correre in moto è la mia vita, un percorso nel quale ho investito tutto. Certo, ci sarà un piano B, un piano C, un piano D. Mi piacerebbe trasferire ciò che ho imparato ai giovani”. Una strada che Andrea ha già intrapreso nel 2019 assieme al fratello Angelo, quando i due hanno iniziato a seguire Romano Fenati.
“È dura accettare una punizione che so di non meritarmi. - racconta poi a Terruzzi- All’inizio non riuscivo a dormire: incubi, telefonate alle 4 di notte con l’avvocato. Mi sono allenato, continuo a farlo, anche se non posso più esprimermi. Mai stato in forma come adesso mentre mi domando: perché tutto questo? Perché ho mangiato un pezzo di carne al ristorante?”.
Sulle polemiche attorno al suo stile di vita, Andrea risponde con fermezza: “Voglio credere che la vita privata di una persona non possa essere giudicata, tantomeno in un procedimento del genere” e poi conclude “Come mi sento? Piegato, ammaccato ma non spezzato. Di una cosa sono certo: vado avanti, andrò avanti comunque. Nessuno può fermarmi”.