I motorini truccati, le prime macchine digitali, la voglia di scoprire e imparare prima di poter anche solo pensare a un lavoro che, spiega lui, è "arrivato per caso". Perché Callo Albanese, IL fotografo italiano del motorsport e della velocità, ha unito le sue due grandi passioni - quella per la fotografia e quella per i motori - e ha costruito un risultato di successo, un lavoro che è in continuo cambiamento e un'identità creativa che lo rende oggi riconoscibile in tutto il mondo.
Lo abbiamo chiamato per farci raccontare i segreti del suo lavoro, la vita nel paddock e i cambiamenti di una Formula 1 che sta riscoprendo stessa, venendo a patti anche un cambiamento necessario seppur, qua e là, ancora difficile da accettare. Emiliano, simpaticissimo, Callo è un fiume di racconti e aneddoti e quando dice "con i piloti mi ci trovo bene perché riesco a instaurare un rapporto un po' cazzone" non è difficile credergli.
Tra i ricordi di una giornata con Michael Schumacher e Valentino Rossi, l'atmosfera di Miami e l'invidia per una fotografia che avrebbe voluto scattare lui, Callo Albanese ci svela il meglio e il peggio, il bello e il brutto, di un lavoro che, ha imparato con gli anni, "non va mai regalato a nessuno".
Callo, andiamo con ordine: come hai iniziato a fare il fotografo?
Ho scoperto la fotografia grazie alla polaroid che mi hanno regalato per la cresima e, alle superiori, ho iniziato a studiare fotografia e grafica pubblicitaria. Ero già anche appassionato di motori, di motorini truccati, di motorsport... Poi ho cominciato a lavorare per un laboratorio fotografico di sviluppo e stampa dove ho avuto l’occasione di incontrare un fotografo modenese che lavorava nel mondo delle corse e lì ho iniziato a girare con lui, andando a fotografare in pista. Avevo una bella "faccia da culo", posso dirlo? (ride, ndr.)
E poi cos'è successo?
Ho scoperto la fotografia digitale. Erano gli anni 90 e ho fatto il mio primo investimento su una macchina fotografica digitale, che era una COOLPIX, iniziando a fotografare così quando in pochissimi lo facevano. Non era come oggi che si hanno un’infinità di tutorial a disposizione: tutto era molto empirico. Insieme a un mio amico fotografo facevo degli esperimenti con i primi strumenti, utilizzando i mezzi e le macchine che c’erano all’epoca. E quando il mondo del digitale è esploso io ero già pronto. Lì ho ricevuto una telefonata da una scuderia di Formula 1, diciamo una scuderia italiana rossa molto famosa, che nel 2001 cercava un fotografo che sapesse usare il digitale.
L'essere arrivato prima degli altri ha quindi segnato il tuo ingresso in Formula 1?
Sì, non ero un maestro del digitale ma conoscevo quel mondo ed ero preparato per lavorarci. Da lì ho fatto un primo ciclo in Formula 1 che è durato dal 2001 al 2007, poi sono uscito dalla scuderia e ho iniziato a lavorare con degli sponsor della Formula 1, spostandomi da una fotografia "media" - più di cronaca - a una di un tipo superiore. Un lavoro più bello, meno caotico, dove c’era anche più libertà creativa. Ho fatto questo lavoro fino al 2015, poi sono tornato nello stesso team italiano di F1 perché, con l’avvento dei social, io e un gruppo di persone con le quali lavoravo siamo stati chiamati per aprire l'account della scuderia. Questo fino al 2019. Poi sono di nuovo uscito e rientrato, da quest'anno, ma con un ruolo più legato al marketing.
Quindi sei tornato a seguire il circus per tutta la stagione?
Sì, da quest’anno seguo di nuovo tutto il calendario. Finalmente.
Sei felice? Non ti pesa, dopo anni e anni, viaggiare così tanto?
No devo dire che non mi pesa, Anche se, ad essere sincero, nei due anni di pandemia non stavo poi tanto male a casa... mi facevo qualche gara e stop. Quest’anno però ho avuto questa proposta, sono stato cercato dal team, c’è un bel progetto che stiamo sviluppando e quindi ho accettato di tornare. Sono contento, anche se ovviamente ci sono dei pro e dei contro.
Quali sono i contro?
Da freelance per un’agenzia il lavoro era diverso, partecipavo molto a quella che poteva essere la creatività del progetto: le modifiche delle fotografie, lo stile... Adesso, lavorando per la scuderia, ci sono delle regole da seguire e un certo tipo di fotografie da fare. Sai, loro vogliono una color correction ben definita, un rosso ben preciso e cose del genere.
Il mondo dei social ha cambiato radicalmente il vostro lavoro di fotografi nel paddock?
Secondo me ha rovinato un po' la vita a tutti. Il lavoro è cambiato perché devi permettere alla gente di postare quasi in tempo reale, bisogna essere molto veloci, per non essere bruciati da un competitor. Poi il mondo dei social è anche bello perché dà la possibilità a tutti di farsi conoscere in un panorama molto ampio però con questa ossessione della velocità si è persa un po' la poesia. Non bisogna sbattersi più di tanto a pensare, a fare le cose nel dettaglio, ma farle. E farle velocemente.
Tanti anni in giro con la Formula 1 significa anche tanti momenti sportivi memorabili. Quali sono stati i migliori?
Ah, tantissimi! Il mondiale in Brasile di Kimi Raikkonen nel 2007, inaspettato, bellissimo. Poi ho avuto la fortuna di entrare nel circus nel periodo d'oro di Michael Schumacher, quindi anche di incontrare e lavorare con uno dei miei idoli assoluti. Ho conosciuto persone stupende, un team vincente, una bellissima atmosfera e poi c'è sempre stato un bel rapporto con i piloti con cui ho collaborato.
C'è qualcuno che senti ancora?
Sì certo, per esempio Sebastian Vettel. Ecco: la sua prima vittoria in Ferrari, quella in Malesia, è stato un altro momento indimenticabile. Erano stati anni difficili per Maranello e c'era la speranza che potesse essere l'inizio di un nuovo ciclo, proprio come con Schumacher. Poi le cose sono andate come sappiamo ma quel momento fu davvero magico. Quest'anno il clima è molto bello, c'è aspettativa, ma io voglio godermi gara per gara.
A proposito di clima: quello del Gran Premio di Miami com'era?
Americano! Lo possiamo un po' paragonare al Super Bowl o ai Playoff dell'NBA. La gara lì era uno dei tanti eventi che c’erano durante il weekend, non il punto centrale di tutto. Comunque per chi era lì è stato bello: il paddock era pienissimo e lavorare non era semplice ma ci sta, è stata un'esperienza particolare.
Si parla tantissimo di una Formula 1 "rinata". Si sente quest'aria nel paddock?
Sì, specialmente a Miami ho capito ciò il circus vuole fare: la Formula 1 deve essere un’esperienza, uno show, deve abbracciare tutto weekend. Io sono un po' nostalgico e mi piace ancora la Formula 1 degli anni duemila, dove l’attore principale era l’evento sportivo. Ma questa è una nuova generazione e va bene così.
Due domande su due fotografie: un tuo scatto di cui non cambieresti niente?
Non sono affezionato a una foto in particolare, perché sono un insoddisfatto di natura. Penso che potrei ogni volta fare di meglio: magari inizialmente mi piace una fotografia ma poi la riguardo dopo un mese e non mi piace più. Però ci sta, è anche un pregio, perché cerco sempre di fare qualcosa di nuovo, di tirare fuori il meglio.
Però una fotografia alla quale sei legato ci sarà...
Una foto a cui sono affezionato, per il momento storico in cui è stata scattata, è quando Valentino Rossi per la prima volta provò la Ferrari a Fiorano e si scambiò il casco con Michael Schumacher. È uno scatto molto intimo perché sono solo loro due ed è stata scattata in un angolo qualsiasi del garage. E poi mi piace perché so che quello scatto ce l'ho solo io.
Com’è stato quel giorno?
Nessuno sapeva di quel test, erano stati tutti bravi a nasconderlo anche se poi la voce, una volta arrivati a Fiorano, si è sparsa molto in fretta. Io per evitare chiamate ho tenuto il telefono spento per tutto il giorno, prendendomi poi anche un sacco di parole dai miei amici giornalisti che speravano di avere qualche informazione dall'interno. Un giorno che non dimenticherò.
Seconda domanda: una fotografia di un altro fotografo che avresti voluto scattare tu?
Ahia. Non mi ricordo come si chiama il fotografo ma so qual è lo scatto: è una foto di Muhammad Ali, quella scattata in digitale al Madison Square Garden in cui vince e ha il pugno alzato. Mi piace anche perché immagino tutto il lavoro di preparazione che deve aver fatto il fotografo per riuscire a ottenere quello scatto.
Chiudiamo con un consiglio. Che cosa diresti a un ragazzo che vuole, oggi, fare il fotografo nel mondo del motorsport?
Posso essere un po' stronzo? Se una persona vuole fare il fotografo deve crederci fino in fondo e se vuole davvero vivere della sua passione non deve mai regalare niente a nessuno. Perché purtroppo c’è tanta gente che non si fa pagare con la promessa di una "visibilità" alla quale io non credo. Ci sta trovare dei compromessi, avere un progetto condiviso, e farsi le ossa. Ma non bisogna mai regalare il proprio lavoro perché altrimenti non acquisterà valore. Forse non è il consiglio più motivazionale del mondo ma credo sia uno dei più utili.