Joan Mir è Campione del Mondo per la seconda volta, ma questo titolo in MotoGP pesa un infinità. Perché lo spagnolo lo ha conquistato spezzando l’egemonia di Marc Marquez e l’ha fatto con la mentalità del vincente. Se devi metterti contro un fuoriclasse come il 93 la mente è tutto, perché Marquez è uno che vince (come ogni campione) battendo i suoi avversari sul lato psicologico. Lo hanno dimostrato Andrea Dovizioso e Fabio Quartararo, che scendendo in pista con una sorta di sudditanza non sono riusciti a fare la differenza. Joan Mir, come Jorge Lorenzo al suo secondo anno in Ducati, non ha questo problema. Lui è un campione, ragiona come tale e dentro di sé si sente l’uomo da battere. E rispetto a Marc è più giovane di quattro anni. Paolo Ianieri della Gazzetta dello Sport ha intervistato Joan Mir spaziando dal suo passato agli avversari, il team e la sua filosofia. Qui riportiamo i passaggi più interessanti.
Joan è cresciuto a Palma di Maiorca, con una madre arredatrice d’interni (su cui si è molto discusso in questi giorni) ed un padre che vendeva skateboard e articoli da surf. I genitori si separano presto e, altrettanto presto, il figlio capisce di avere una passione per le due ruote.
Gli inizi e il carattere di un campione
“Mio papà faceva quello che gli chiedevo, per lui sarebbe stato meglio se non avessi scelto la moto, perché praticare quello sport era un problema per noi.”
Racconta Joan, che ha ricevuto i primi insegnamenti dal padre di Jorge Lorenzo, Chicho, il quale gestisce una scuola di pilotaggio a Maiorca con l’ormai celebre metodo Lorenzo: “La verità è che Chicho ha un metodo particolare, ci allenavamo in un parcheggio piccolissimo e quello che noi chiamavamo la pista grande la percorrevi in 17-18 secondi. Pensa com’era… Sono stato lì un anno e mezzo, ma sentivo di non riuscire a imparare, mi mancava qualcosa. Ok, io volevo soprattutto divertirmi, ero giovanissimo e davanti avevo tanti anni, non volevo sprecare il mio tempo. Se a 9 anni incominciano a romperti troppo le scatole, ti distruggono e finisci che vai a fare altro. Così ho detto a papà che in quel modo non mi divertivo, quella scuola non mi dava niente per essere un campione. Chicho è uno che sa veramente molto, ma io non vedevo l’uscita. E abbiamo cambiato, scegliendo una scuola con una pista vera”.
Le difficoltà economiche sono, purtroppo, un argomento piuttosto ricorrente nella storia dei piloti, che spesso e volentieri arrivano al motomondiale dopo tanti sacrifici da parte di tutta la famiglia. Anche Joan Mir ha vissuto questo aspetto dello sport, motivo per cui ad oggi si sente più maturo e preparato di coetanei che invece non hanno fatto lo stesso percorso:
“Ho dovuto imparare e crescere molto più velocemente dei miei amici, perché questo sport me lo chiedeva. - racconta nell’intervista - Non è stato facile per me, papà non ha mai messo soldi in una squadra per poi eventualmente farmi cambiare l’anno dopo se non fossi andato bene. La mia storia è diversa. Mio padre ha un negozio di skateboard, wakeboard e cose così, immaginatevi quanto lui abbia dovuto vendere per pagare la mia moto, la benzina, le gomme e tutto. Ricordo che arrivava la sera alle 10 a casa distrutto e mi diceva “io sto facendo uno sforzo molto grande, ma voglio che anche tu lo faccia”. Era il suo modo di responsabilizzarmi, in un’età dove un ragazzo normale non ha di questi pensieri. Ho iniziato con la pit-bike e vinto subito, in 125 PreGP mi hanno pagato la stagione, ma se non avessi vinto sarei dovuto tornare a casa. Spingevo come un animale. Al primo anno della Rookies Cup ero così piccolo che non avevo la forza, ma l’anno dopo l’ho quasi vinta, poi nel 2015 nel CEV avevo una Ioda di tre anni più vecchia, non ho vinto il titolo ma sono stato l’unico che a fine stagione è passato nel mondiale… Tutto questo è quello che oggi mi sta rendendo più forte”.
In merito è molto significativo un aneddoto raccontato dal Manager Paco Sanchez (che, tra gli altri, gestisce anche Maverick Vinales) che racconta dell’anno in Moto2 con il Team Marc VDS, nel 2018: “A Misano, a 10 minuti dall’entrata in pista Joan era in borghese in hospitality, deciso a non correre dopo che il team aveva ritardato per l’ennesima volta i pagamenti dovuti. Joan aveva accettato i primi rinvii, ma quella volta fu irremobibile. “Senza il bonifico non corro”. Dopo mille telefonate, l’email con la conferma arrivò che gli altri piloti stavano per entrare in pista. Joan si scambio al volo, entrò nel box all’ultimo secondo, si schierò appena in tempo e chiuse quarto. Ecco chi è Joan Mir.” Joan d’altronde si definisce “Una persona felice, che si gode quello che fa. Sono un privilegiato, che fa il lavoro che gli piace di più e viene anche pagato per farlo”.
La rivalità con i grandi della MotoGP
Poi le domande, inevitabilmente, arrivano al grande assente della stagione, Marc Marquez. Il Cabroncito si è già congratulato per il titolo, ma ha anche detto che farà l’impossibile per tornare in pista e vincere il suo nono titolo mondiale. “Sinceramente Marquez non mi spaventa. Siamo qui per quello, per vincere. Chi lo sta facendo più di tutti in questo momento è Marquez e noi dobbiamo entrare a far parte di quella lotta. Quest’anno è andata bene, ma il prossimo ci regalerà una sfida bellissima. la verità è che in questi mesi, anche se non avevo ancora vinto il titolo, stavo già pensando alla prossima stagione contro Marc.”
Il cliché del campione implacabile, quasi privo di sentimenti è anche (in parte) un aspetto caratteriale in cui Joan Mir si riconosce, ma non troppo: “Ho due facce, quello che sono io, adesso, a casa. E poi quello che sta lavorando. Lì puoi mettermi la telecamera in faccia e non la guardo neanche. È un altro Joan in quel momento, che si sta concentrando per fare tutto al meglio”. Un atteggiamento che sembra, in parte, quello di Valentino Rossi: un pilota al contempo cinico e scanzonato, a cui Mir ha ammesso di ispirarsi molto: “Valentino è la prima persona che io ho osservato più di tutti per capire come fa o non fa le cose. Ed è anche il carattere nel quale mi riconosco di più. Non perché voglio assomigliare a Valentino, ma semplicemente perché forse è il più simile a me. Di sicuro, invece, non ho il carattere di Marquez. Un altro pilota che poi a me piace tanto e che osservo con attenzione è Dovizioso”.
Sull’addio del Dovi al circus del motomondiale Joan risponde così: “Mi spiace molto, perché Andrea è uno di quelli che si merita di stare qua, lo sappiamo tutti. Solo che non gli hanno dato quello che lui chiedeva e che si merita per tutto quello che ha fatto. E a me spiace davvero tantissimo”.
Cosa significa essere in Suzuki e vincere con loro
Poi Joan spiega cosa significhi per lui essere in Suzuki, un marchio storico (che festeggia il centesimo anniversario proprio nel 2020) ma che di certo non ha gli stessi mezzi economici di altre case impegnate nel motomondiale. “Per me essere in Suzuki vuol dire molto. Adesso si vede che la moto funziona molto bene, ma non è sempre stato così. I ragazzi del team hanno lavorato tanto e bene. Vai in Giappone e la fabbrica è piccola se comparata alle altre Case. A me la prima volta sembrava comunque immensa, ma arrivavo dalla Moto2 e Moto3.
"Poi però passano gli anni in MotoGP, vedi chi lavora per Honda, Ducati, Yamaha e mi dico ‘cavolo, siamo in pochi qua eh?” - spiega Joan - io ho scelto la Suzuki invece di altre case, perché mi sono detto che se avessi vinto con la Honda avrei fatto il lavoro richiesto, una buoan cosa. Ma farlo con la Suzuki l’avrebbe fatto diventare una cosa strafosferica, e questo ha catturato la mia attenzione. Mi piace iniziare in ombra e poi, quando si può fare… pam, eccoci là davanti. Anche per come sono fatto io, questo mi piace, e Davide è stato bravo a convincermi”. Poi spiega che la sua storia con Suzuki è tutt’altro che finita. “Io ho già firmato per i prossimi due anni e dopo questo mondiale sono solo contento di restare, averlo conquistato non significa avere finito la mia storia qui. Sono convinto che con questa squadra si possa fare molto di più”.
Poi Joan Mir parla della sua squadra, delle scelte coraggiose di Davide Brivio e del suo rapporto con il compagno di squadra, Alex Rins: “La verità è che è un bel compagno di squadra. - racconta il neo campione del mondo - Ci rispettiamo tanto in pista. A volte l’anno scorso ha detto alla stampa cose che non mi hanno trovato d’accordo, ma adesso che mi rispetta di più ha smesso di farlo. E più passa il tempo, più la nostra relazione migliora”.
Merito anche di Brivio, che ha spinto tanto per creare un ambiente di lavoro che sia prima di tutto sereno. Joan racconta così la differenza tra Suzuki e gli altri Team della MotoGP : “In ogni team c’è una rivalità tra i due lati del box. Anche da noi, però poi facciamo come gli altri non fanno. Se per esempio si rompe una moto, i meccanici dei due team si aiutano tra di loro. O se c’è da celebrare lo facciamo tutti assieme. Ho apprezzato molto che Alex domenica si sia messo la mia maglietta nella foto ricordo. È qualcosa che dovrebbe essere normale, ma in questo mondo non lo è”.
Infine, la domanda che si stanno facendo tutti: “Se metterò il numero 1 sul cupolino? Non lo so ancora. Però ci sto pensando. Gli ultimi sono stati Hayden e Stoner, a ripensarci è qualcosa di speciale”.
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