L’anno scorso ha vinto, ma quest’anno è già fuori dai giochi. E a spodestare Joan Mir dal trono del campione del mondo non è stato, come tutti avevamo creduto ad inizio stagione, un certo Marc Marquez, ma Fabio Quartararo o, visto che c’è ancora una minima speranza, Francesco Bagnaia. Le cose per lo spagnolo non sono andate per il verso giusto sin dalle prime gare in Qatar, ma Mir rifiuta la teoria di chi sostiene che non ha saputo reggere la pressione che inevitabilmente grava sulle spalle di un campione del mondo. “Sono in grado di gestirla, ci sono stati altri problemi” – ha detto. Il riferimento, è chiaro, è al gap tecnico della Suzuki con le altre moto in griglia, ma anche, probabilmente, all’assenza di una persona fondamentale come Davide Brivio nel box del Team Ecstar.
Senza tirare in ballo, quindi, una pressione che, invece, Mir ha raccontato di saper gestire, dopo aver dovuto imparare a farci i conti sin da quando era piccolissimo. “Nelle corse ci sono due modi per andare sempre più avanti di livello e di categoria: vincere o autofinanziarsi” – ha spiegato, svelando qualcosa che, in realtà, è nota da fin troppo tempo a tutti. “Da bambino la moto era un gioco che diventava sempre più una passione, ma sono un realista da sempre e quando ho visto che potevo competere con gli altri ho partecipato al campionato spagnolo – ha raccontato il campione del mondo in carica - Ricordo che mio padre non aveva i soldi per pagare una squadra e dire 'va bene, paghiamo noi e così hai l'opportunità', come succede in altre famiglie”.
E’ esattamente lì che ha conosciuto per la prima volta la pressione di chi deve vincere per forza. “Ho dovuto sviluppare quella capacità e quel talento da zero, perché se ero capace di vincere un campionato, poi da un altro campionato ti vedono e una squadra si interessa a te – ha proseguito - Se vinci, hai l'opportunità di salire di categoria, ecco perché l'ho preso molto sul serio fin da piccolo: perché io non avevo l'opportunità di andare in una squadra e pagare. Quindi ho dovuto vincere tutti i campionati, il che è stato abbastanza difficile”.
Difficile, ma formativo, con Joan Mir che, però, non ha un bel ricordo degli anni in cui ha dovuto sgomitare nei campionati minori fino ad arrivare al motomondiale e al titolo il Moto3: “Non è stato divertente – ha ammesso - Le gare non erano divertenti perché erano così intense e piene di significato per me, sapevo di giocarmi la possibilità di andare avanti. Ma questo fa parte del progresso e amo il progresso e i percorsi strutturati. Mi è piaciuto il percorso, ma non le corse in quegli anni. È molta responsabilità. Ora, quando dicono che ho la pressione del titolo MotoGP, non penso che questa sia pressione, ma che quella era pressione! Dovevi riuscire a vincere anche con una moto che non era delle migliori, per generare aspettative su di te e garantirti una squadra per l’anno successivo. Non potevo permettermi di stare nella stessa categoria per due anni, ma dovevo sempre dimostrare di meritare il salto. Solo quando sono arrivato al Mondiale ho potuto divertirmi di più”.