Livio Suppo, team manager Suzuki nel 2022, nei sette anni passati in HRC ha conquistato ben cinque titoli mondiali piloti e sei costruttori, diventando uno tra i manager più vincenti degli ultimi anni. Così, mentre Honda si trova ad affrontare una crisi che non vedeva dal 2004 col passaggio di Valentino Rossi in Yamaha, viene naturale tornare a quando la Casa dell’Ala ne uscì, quindi con l’arrivo di Casey Stoner e Livio Suppo in HRC. Il manager torinese ci ci ha raccontato il suo percorso di quegli anni, tra aneddoti freschi e un occhio attento alle corse.
Ciao Livio, parliamo un po’ della tua Honda, che tu stesso in passato hai definito una macchina da guerra. Perché?
Beh, sicuramente bisogna andare un po’ indietro. La Honda era stata una macchina da guerra già negli anni antecedenti al mio approdo, quando con Valentino Rossi erano pressoché imbattibili. Hanno avuto un momento di difficoltà quando lo stesso Vale nel 2004 passò alla Yamaha e tornarono a vincere nel 2006 con Nicky Hayden in un mondiale già deciso, con tutto il bene che gli voglio, anche da circostanze sfortunate pagate da Valentino. Sicuramente sono stati premiati dalla costanza. Poi nei tre anni successivi la Honda non vinse il mondiale e quando Shuhei Nakamoto mi chiese di andare in HRC nel 2009 mi disse “We must wake up HRC” che in inglese è “dobbiamo svegliare la HRC”, evidentemente addormentata sugli allori. Lui quando arrivò in Honda nel 2009 fece delle mosse, tra le quali prendere il sottoscritto, che riportarono la Honda nelle condizioni di fare quello che sapeva fare, ovvero delle moto forti con dei piloti altrettanto forti, anche perché il budget della Honda è sempre stato molto importante, e questo conta. Così si è creata la “macchina da guerra”: nel 2011 vincemmo il mondiale con Stoner e poi con Marc Marquez vincemmo nel ’13, ’14, ’16, ’17. Loro hanno vinto anche nel 2018 e 2019, poi purtroppo si sono persi per strada affidandosi solo ed esclusivamente alle abilità di un pilota mostruoso come Marc e tralasciando un po’ gli altri. Questo, unito all’infortunio di Marc a Jerez nel 2020, ha fatto sì che oggi si trovino in una situazione diametralmente opposta.
Hai notato delle differenze tra il titolo vinto con Casey in Ducati nel 2007 e quello in Honda, sempre con Stoner, del 2011?
Sono due titoli completamente diversi. Casey nel 2007 era poco più di un esordiente, aveva corso solo nel 2006 in MotoGP. Era un outsider, nessuno ci avrebbe buttato un euro a inizio anno. Quel titolo fu una sorpresa. Nel 2011, invece, eravamo praticamente condannati a vincere, avevamo preso quello che era il pilota più forte che c’era in quegli anni, o almeno il più veloce. Al tempo c’erano i Fantastici 4 (Casey, Vale, Jorge e Dani) ed era abbastanza chiaro che Casey, specie dopo il mondiale del 2007, fosse un marziano. Ha fatto quello che ci aspettavamo facesse su quella Honda.
Di marziani nella tua carriera ne hai gestiti due, Marc e Casey. Che affinità e che differenze trovi tra i due?
A livello di talento sono molto simili, entrambi due mostri, mentre a livello caratteriale sono diametralmente opposti. Marc prende la vita in maniera sorridente e tendenzialmente fa tutto per gioco, al contrario di Casey che ha un carattere più chiuso e patisce tutte le attività di contorno alle gare come viaggi, interviste e pubbliche relazioni. Quelle erano cose che gli pesavano tantissimo. Questo per Marc è un grosso vantaggio, ed è lo stesso che ha avuto Vale. L’approccio di Vale gli ha concesso di fare una carriera lunga come quella che ha fatto, come riprova basti vedere la lunghezza della carriera di Casey.
Cosa pensi avrebbe potuto fare Casey nel caso in cui non si fosse ritirato?
Considerando che si è ritirato quando aveva 27 anni, secondo me sarebbe potuto restare tranquillamente competitivo per altri 4-5 anni. Non si sa quanti mondiali avrebbe vinto, perché comunque nel frattempo è arrivato anche Marc. Fra i due l’avrebbe spuntata Marc, perché credo che Casey avrebbe patito questo approccio più scanzonato. Per farti capire, se a Casey fosse successo quello che è successo a Jorge a Jerez nel 2013, quando Marc l’ha attaccato in modo molto simile a quello che Valentino usò con Sete (Gibernau) nel 2005, se la sarebbe legata al dito e si sarebbe arrabbiato molto, e sappiamo che anche i grandi fenomeni se non sono tranquilli faticano. Nel 2008 per esempio, dopo Laguna Seca, se lui fosse stato tranquillo avremmo vinto anche quel mondiale, e invece si fece prendere un po’ dalla rabbia perché Valentino poteva far tutto e nessuno gli diceva niente, o almeno è stato quello che pensò lui e questo lo influenzò per il resto della stagione.
E invece come sarebbe potuta cambiare quella di Marc? Avrebbe comunque avuto il posto nel 2013?
Il piano per il 2013 era quello di avere una squadra con Casey e Marc. Come dicevo prima è difficile dare una risposta. Marc quell’anno è stato fortissimo ma ha anche potuto contare sugli infortuni dei suoi principali avversari al titolo, Jorge e Dani. Ciò detto lui fu comunque un pilota capace di vincere alla seconda gara in MotoGP, di quei piloti ne nascono uno ogni cento anni. Sicuramente sarebbe stato più difficile fare quello che ha fatto nel 2014, con le dieci vittorie di fila, perché Casey era Casey. Quello che possiamo dire per certo è che gli appassionati si sarebbero goduti un bello spettacolo.
Hai fatto riferimento alla stagione più esplosiva delle sette, il 2014, con le 13 vittorie di Marc più quella di Dani a Brno. Quell’anno la Honda aveva quella superiorità per la quale la Yamaha sembrava un po’ arrancare. L’anno successivo, nel 2015, la situazione si è capovolta. Cosa successe?
Il 2015 da un punto di vista delle prestazioni è stato condizionato moltissimo dai test invernali. A Sepang Marc scelse un telaio che si rivelò poi sbagliato a stagione in corso, e questo lo capì a Barcellona nei test post gara quasi a metà anno. Le sensazioni molto positive che gli aveva dato in Malesia poi nelle altre piste non si rivelarono altrettanto valide e per questo motivo lui è caduto tantissimo condizionando la stagione. Da Barcellona in poi le cose sono migliorate, ma ormai era tardi. Quindi alla base di quella stagione il problema fu di natura tecnica. Può capitare che le scelte che fai d’inverno non sempre si rivelino quelle giuste, purtroppo i test invernali sono pochi giorni, Sepang è anche una pista particolare quindi non è così difficile sbagliare.
Tra i mondiali che hai vinto in HRC ce n’è uno che particolarmente ti porti a cuore?
Quello di Casey, perché era la missione per cui ero andato in Honda. Nakamoto ci teneva tantissimo a riportare la Honda, che non vinceva dal 2006 che era un periodo di tempo lunghissimo, a vincere. Storicamente è difficile che la Honda non vinca mondiali per così tanti anni. Forse questo è un momento particolarmente brutto però comunque l’ultimo mondiale lo hanno vinto nel 2019. Quindi quello è stato il mondiale che, tra quelli con la Honda, mi ha dato più gusto, perché avevamo riportato la HRC dove solitamente stava.
Quanto e cosa c’è della tua Honda in quella attuale?
Il nome (ride). Per adesso è presto per giudicare la Honda 2023, hanno fatto cambiamenti importanti ma secondo me li avrebbero dovuti fare prima. A mio parere ce ne sarebbe un altro da fare ma non lo dico. Ken Kawauchi è arrivato come responsabile tecnico in pista, ho avuto modo di lavorarci in Suzuki e posso dire che è una persona empatica con un carattere fantastico e questo può dare tanto alla squadra. Ci vuole anche quello. Uno può essere anche un bravissimo ingegnere ma se non ha la capacità empatica di trasmettere entusiasmo e fiducia agli altri ingegneri e ai piloti non è detto che sia un buon ingegnere di pista. Infatti è molto importante sapersi relazionare sia con i meccanici che con i piloti. Per altro due dei quattro piloti Honda, Joan e Alex, già li conosce dall’esperienza in Suzuki, e anche questo lo aiuterà ad entrare nel nuovo ruolo in maniera più facile. Quindi aspettiamo a giudicare la Honda 2023.