Auckland, Nuova Zelanda, 15 Marzo. Quando leggete è finita o sta per finire. Male o bene. Questa Coppa America non la sopporto più. Mi ha sfinito. Eppure la Vela mi piace da morire. Per Azzurra, per il Moro di Venezia e per la prima Luna Rossa sono stato sveglio tutte le notti. Oggi medito di andare a dormire e non pensarci più. La 36ma edizione doveva essere quella della Storia. Luna Rossa sarebbe tornata a casa con il Trofeo e la 37ma si sarebbe giocata in Sardegna, a Cagliari, alla Maddalena, nel nostro Mediterraneo. A casa nostra. In un colpo solo, sia pure della durata sfinente di 4 anni, avremmo sconfitto gli All Blacks della Vela dopo aver mandato a fondo il “Gobbo” e massacrato Mr. Smiling Bean, avremmo messo in bacheca una coppa che se la sono passata di mano in pochissimi e dato una lezione al Mondo intero. Niente di meno. Più la cascata di gloria per il Bertelli che se lo merita dai tempi del Donnini, per ogni singolo Marinaio, per l’"oriundo" Spithill alla 3° vittoria, per Bruni e Sibello lanciati e riagganciati nell’olimpo dal Mourinho romagnolo che di nome fa Sirena. Guarda caso. Avremmo rotto una tradizione violentemente contro, mandato in frantumi una quasi regola. Tutto in qualche mese di attesa e una dozzina di notti magiche. Non c’è niente di più bello che vegliare e vincere!
Invece ce lo stiamo prendendo nel baugigi. Come è sempre successo tutte le volte che ci abbiamo provato. Un po’ meglio che appena messo il naso fuori come nelle precedenti esperienze, ma il risultato non cambia. Di un punto o per cappotto, se hai perso hai perso, anche se porti a casa un record di consolazione. Punto e a capo. A capo? Lo rifacciamo? Bertelli dice di sì.
Per la verità non mi fa voglia nemmeno di alzarmi per quella che potrebbe essere l’ultima notte dell’agonia annunciata o la prima dell’epopea di un’impresa scatenata e scatenante.
Si badi bene che scrivo quando non è ancora finita e tutto ancora può succedere. Il 5 a 3, o anche un 6 a 3 da rovesciare potrebbe anche essere un gioco da eroi ed esaltare l’impresa, e tra l’altro ti aiuta anche la memoria: hai il timoniere del più grande recupero della storia, quello che ha fatto venire la gobba a quel traditore di Dean Barker.
No, la delusione è lì da tempo, probabilmente dall’inizio. Solo che non capivo da cosa generasse. Credevo fosse la sveglia alle 4 di notte. No, no, non era quello, abbiamo fatto di peggio (o di meglio). Oppure il fatto di poter perdere e di star perdendo. Neanche, il bello dello sport è nel gioco infinito delle possibilità e dei match point, nei domini cattivi e nei rovesciamenti fronte, nel vincere per bravura o per fortuna, nel perdere e nel subire, nell’essere schiacciati per esplodere quello spirito di rivalsa, di rivincita, di vendetta che solo un insuccesso che sta bruciando può innescare. No, vincere è meglio ma c’è anche un modo effettivamente dignitoso di perdere.
Veniamo al punto. Mi delude la formula, mi deludono le barche. So che è una bestemmia ma è quello che sento, non posso farci niente. Mi delude quel senso d’impotenza della lotteria. La frustrazione irrimediabile dietro l’angolo. Se la barca scende troppo di velocità, quel cazzo di foil non tiene più e la barca “casca”! Ve lo immaginate Cristoforo Colombo alla scoperta dell’America con la Santa Maria che gli casca dai foil ai Sargassi? “Cascare dal foil” non è solo un’implementazione di gergo, è l’eufemismo di una condanna all’ignominia e una regata persa, una Coppa persa. Un’occasione persa.
Dico la verità, quando Burling ha sbagliato quella strambata, è sceso dal foil ed è rimasto lì come una folaga nel pantano del golfo di Hauraki l’ho pensato (e l’avrei urlato se ero al bar): “Caro Peter, stavolta puppi alla grande!”. E ho goduto come una scimmia (sapete voi come godono le scimmie?). Quasi più per la trappola di vento e di mare che per l’errore. L’errore umanizza, la disdetta è come il Libeccio: distrugge. Siamo tutti sportivi.
Quando poi i nostri semidei si sono piantati a loro volta – diciamocelo chiaro, non solo per quel “buco” di vento ma per voler strafare – all’inizio non ci volevo credere, per tre minuti non ci ho potuto credere. Poi ho cominciato a maturare il senso della beffa. Infine ho iniziato a incazzarmi. Ma come, cento milioni per lasciare che una barca, una regata, una coppa, il destino di un popolo, tutto resti appeso a un filo di sei nodi e mezzo di vento? È come giocare a rugby su una ragnatela, indicibile.
Sarà che eravamo abituati a un terzo della velocità, a strambate epiche, spinnaker giganteschi pronti a farti volare in paradiso o a sbatterti all’inferno. Manovre che duravano una vita, frangenti interminabili che gonfiavano l’emozione dell’appassionato fino al parossismo, che consegnavano alla leggenda i De Angelis, i Cayard, i Conner, i Coutts, e noi per sempre alla Vela.
Oggi si regata da sei nodi e mezzo a 21 di vento. Alla parte del minimo sono giorni che le barche bolleggiano, si piantano e le regate finiscono lì, su un difetto, giorni che per vedere un sorpasso bisogna proprio che uno sbagli la vela e l’altro l’indovini. Ma per piacere!
Eccola la delusione. Ecco dove nasce. La lotteria dei foil in funzione del vento minimo, i limiti del campo di regata, gli ormai famosi “boundary”, i confini del sorpasso proibito. Si dirà che non riconosco i pregi del progresso e della tecnologia. Non è vero, quando ho visto per la prima volta un Moth credevo fosse un cartone animato, sono rimasto ammaliato come un bimbetto. E così quando ho visto per la prima volta Luna Rossa decollare. Riconosco anche il progresso malizioso del mettere otto marcantoni a pompare al limite della telemetria per immagazzinare l’energia che gli assi della vela scaricano in un attimo con un click o la pressione di un bottone. Le barche di Coppa America sono fantastiche come una macchina da Rally o una Motocicletta. Emozionanti. Lo sa anche Grant Dalton, che è il Capitano che vince e che corre il Tourist Trophy.
Però la formula di regata è stretta e sbagliata in almeno due aspetti. Facciamoli correre da 10 a 30 nodi di vento, prima di tutto. Poi eliminiamo i boundary, o per lo meno allarghiamoli tanto, ma tanto. Se uno vuole andare a cercare velocità in Antartico o in Australia fatti suoi. Facciamoli regatare, insomma. E smettiamola di offenderci se ci prendono in giro o ci accusano di poco onore e sportività. Fa parte del gioco. Un tempo anche il Calcio era meno “preciso”, a volte per un’anomalia l’attaccante scappava sull’ala e scendeva minaccioso verso il portiere. In curva ci si scatenava: “Sceeemo, sceeeeeemo!” A volte funzionava, e il fenomeno s’impappinava a un passo dalla nostra porta e dalla gloria eterna. Così è, un po’ di sana “cattiveria” sportiva non fa male a nessuno!
Buonanotte… Aspetta che punto la sveglia. Dai che ce la facciamo!