Tredici gare al posto di venti. Cinque doppiette. Pochissimi giorni tra una gara e l'altra. E ora anche l’infortunio di Dovizioso. Che valore avrà il mondiale 2020?
Una domanda retorica, s’intende, perché è ovvio che, in un’annata che ci ha fatto seriamente dubitare che un campionato potesse iniziare, tutto ciò che arriva è oro colato. Lo diciamo e ce lo diciamo tutti, ogni giorno: prendiamo e portiamo a casa, godiamocelo per quello che si può, anche senza pubblico, anche se tutto sarà un po’ più strano, un po’ diverso. Ma la domanda resta. Perché è di sport che stiamo parlando e lo sport ha a che fare con il capire chi sia il più forte a fare una cosa (saltare in alto, nuotare, guidare una motocicletta). E, insomma, questo mondiale 2020, fatto in questa maniera, sarà in grado di rispondere a questo interrogativo? Perché oggi (ieri) è successo al Dovi - infortunio alla clavicola, durante una gara di motocross - ma se un incidente del genere dovesse succedere a campionato in corso, tipo a Marc Marquez, cosa diremmo di chi finalmente fosse in grado di togliergli lo scettro di mano? Varrebbe come un mondiale normale? E se Valentino vincesse il decimo proprio quest’anno? Dovrebbe poi vincere l’undicesimo per potersi finalmente ritirare senza dover rendere conto a un esercito di frustrati che lo danno per bollito da un decennio?
Nessuno ha il coraggio di dirlo espressamente ma la verità vera è che la risposta è: no, questo mondiale non vale come tutti gli altri. Troppe atipicità, troppe variabili che potrebbero condizionare l’effettiva resa dei piloti e delle loro moto. Certo, ne siamo strasicuri, ognuno darà gas fino in fondo. Perché è di piloti che stiamo parlando, di gente che fa a gara anche a chi arriva in cima alla scale (fate due rampe con Nico Cereghini dietro di voi e capirete a cosa mi riferisco). Ma la chiacchiere stanno a zero: la stagione 2020 non fa testo e molto probabilmente non potrà essere presa a misura di alcunché. Per dire: che strategia è verosimile attendersi dai piloti di testa? Marquez proverà a dare tutto nelle prime gare per costruire un vantaggio da gestire, come fatto tendenzialmente nell’ultimo campionato, o sarà cauto, evitando rischi e possibili cadute che potrebbero condizionare in un amen l’intera stagione? E le moto? Ve lo ricordate quando la M1 spinnava in sesta marcia a Jerez in rettilineo? Che facciamo quest’anno se succede una cosa del genere? Chiudiamo baracca e burattini dopo due gare perché tanto non ci sarà mai il tempo di intervenire?
Di buono c’è che non ci dovremmo annoiare. Ma questo non può e non deve essere l’unico parametro quando si parla di sport. Perché lo sport è narrazione certo, è storie di uomini e di passione. Ma è anche e prima di tutto misura di talento e impegno. E quando il talento e l’impegno sono soggetti a troppe variabili fuori dal controllo di chi li esprime, siamo davanti a una cosa diversa, anche se un po’ ci dispiace ammetterlo.