Hamilton fa 90. Novanta pole position: ben oltre qualsiasi altro campione nella storia del suo sport. Senna si era fermato a 65, Schumacher a 68. E guardando il suo giro secco all'Hungaroring - che domani lo farà partire un’altra volta davanti a tutti - viene da chiedersi chi potrebbe attaccare il castello di un Re così assoluto. Il suo compagno di squadra, il fido Bottas? No di certo. I lampi brillanti della sue prestazioni lo rendono un buon pilota, uno da non sottovalutare, ma la sua sottomissione da secondo è il pegno da pagare per mantenere, di anno in anno, il sedile in Mercedes.
Potrebbe essere la Ferrari a rompere l’egemonia? Forse negli anni passati: con la monoposto del 2018, a tratti con quella del 2019, ma certo non con la SF1000. Non basteranno la voglia di riscatto di Vettel e il talento giovanissimo di Leclerc a rimettere in piedi un progetto nato male. Il quinto e sesto posto racimolato oggi in qualifica sanno già di miracolo. Entrambe le monoposto nei primi dieci, un passo gara abbastanza buono, una strategia gomme interessante, un circuito tortuoso in cui il pigro motore della Rossa non dovrebbe soffrire come in Austria. Buone notizie che fanno sperare in un podio, sempre che tutto vada bene con i piloti, ma niente di più.
A darci speranza invece c’era lei: la Red Bull. Verstappen voleva una monoposto competitiva e a Milton Keynes volevano dargliela. Lui che da tempo professa la sua superiorità in pista e il bisogno di avere una macchina alla pari di Hamilton per poterlo dimostrare. Erano tutti positivi, tutti convinti che non ce ne sarebbe stato per nessuno. Ma i primi weekend dell’anno iniziano a raccontarci un’altra storia: i problemi di affidabilità, i ritiri, una monoposto molto nervosa e difficile da guidare. Max nella qualifica ungherese non va oltre la settima posizione. Anche quelle criticatissime Ferrari si piazzano davanti. Ancora più avanti, dietro le Mercedes, ci sono le Racing Point: le pantere rosa, le copie carta carbone della monoposto vincente lo scorso anno.
Verstappen arranca, non si arrende e spera in piste più favorevoli dell’Hungaroring per la sua Red Bull, l’olandese è fatto così: con la pelle dura e un’arroganza che gli permetterà di crederci sempre e non arrendersi davanti alle difficoltà tecniche. Più debole invece il suo compagno di squadra, Alex Alon, che non va oltre la tredicesima posizione in qualifica e sente il suo sedile in Red Bull sempre più instabile.
Perché a Milton Keynes con i piloti non si fanno certo tanti problemi: fuori uno e dentro un altro. Come hanno fatto con Gasly e con tutti quelli prima di lui, campioni del mondo compresi. Ma dare la colpa ad Albon, certamente meno prestazionale dell’inarrivabile Max, non risolverà i problemi di un progetto 2020 che inizia a fare acqua.
Ma se nemmeno loro riusciranno a spodestare il dominio Mercedes, chi potrebbe farlo? E se nessuno lo farà - in un anno destinato a incoronare Hamilton come il più grande di tutti i tempi - che cosa dovremo aspettarci da questo mondiale? Forse gare emozionanti dalla terza posizione in giù, tanti sorpassi a metà classifica, una stagione ad armi pari per tutti quelli che non si chiamano Mercedes. L’astronave guidata dal marziano, la stella d’argento che da quando è diventata nera fa ancora più paura: così diversa dalle altre, così veloce e irraggiungibile.
Nell’attesa di vedere un Gran Premio che speriamo non si riveli sottotono e monotematico, cerchiamo tra i box l’ombra di una monoposto pronta a combattere questa battaglia. Ma, dopo tre weekend dal via della stagione, ancora non riusciamo a trovarla.