L’infortunio, per un atleta, è il momento più brutto, il trauma più difficile da affrontare, la sfida che ti pone davanti a un bivio: rialzarsi o mollare? Marc Marquez ne sa di certo qualcosa visto che è stato costretto a operarsi di nuovo al braccio destro, a seguito dello scellerato tentativo di recupero, dopo l’incidente che l’ha visto coinvolto nella gara inaugurale del Campionato del Mondo di MotoGP di quest’anno.
Il pilota spagnolo, tuttavia, è solo uno dei tanti esempi di come anche - e forse soprattuto - nello sport, la pazienza sia fondamentale per risolvere qualsiasi tipo di problema. Una forma di buon senso che, però, in diverse occasioni non è stata applicata a dover, portando alcuni dei più iconici campioni dello sport a forzare il rientro o a non curarsi adeguatamente dei segnali di cedimento mostrati dal proprio fisico, con esiti nefasti. Ecco a voi, dunque, il ricordo di cinque infortuni che si sono trasformati in dramma (sportivo!).
Roberto Baggio, 1994, Coppa del Mondo
Pasadena, caldo clamoroso, stadio ancor più infuocato, media di tutto il mondo pronti a scrivere il risultato finale tra Italia e Brasile, due squadre meravigliose. L’Italia, però, a quella finale ci arriva zoppa. Nella fase a gironi, Franco Baresi si rompe il menisco. Ansia costante, ma niente paura: 25 giorni dopo, proprio per la finale, è in campo contro uno degli attacchi più forti del mondo. A preoccupare davvero è l’uomo del destino, il Divin Codino, che ha portato l’Italia fino a quella partita, a suon di gol e grandi giocate. In semifinale realizza una doppietta alla Bulgaria di Stoickov, ma a fine match qualcosa non va: problemi muscolari. I dubbi su una possibile assenza di Baggio scuotono il Paese, ma, ehi, è la finale di Coppa del Mondo, e Baggio, semplicemente, ci deve essere. Dopo 120 minuti di totale anonimato, per l’eroe azzurro arrivano i calci di rigore. Com’è finita lo sappiamo tutti. Un errore che, secondo alcuni, non avrebbe mai commesso se fosse stato in salute come nelle partite precedenti. Un rientro in campo anticipato che ha portato a una bruciante sconfitta per l’Italia, mentre il Brasile dedicava il Mondiale ad Ayrton Senna.
Ronaldo, 2000, Coppa Italia
12 aprile 2000, Lazio-Inter, finale di Coppa Italia. Il Fenomeno entra in campo al posto di Roberto Baggio, più o meno al 13esimo del secondo tempo. L’accordo coi medici è di impiegarlo solo per venti minuti, ma Lippi è fiducioso e forza un po’ la mano. Il motivo di tanta premura? La finale di ritorno di Coppa Italia segna il rientro in campo di Ronaldo, dopo l’infortunio al tendine rotuleo rimediato nella partita contro il Lecce del 21 novembre 1999. Un momento atteso con ansia da tifosi e avversari e vissuto coi crismi dell’evento. Quella sera, tutti gli occhi sono per lui, per ogni suo movimento, per ogni suo possibile gesto. Ronaldo entra, ma dopo soltanto sei minuti, avviene l’impensabile. Tenta un doppio passo, al limite dell’area avversaria, è il suo marchio di fabbrica, è quello che può far tirare un sospiro di sollievo e far dire a tutti “ok, è sempre lui”. E, invece, niente. Il piede piantato nell’erba, su, fino al ginocchio. Il resto del corpo che ruota. Qualcuno sosterrà di aver distintamente sentito dalla panchina il rumore del tendine che si spezza. Ronaldo si accascia e scoppia immediatamente in lacrime. Tutti capiscono cosa stia succedendo: il tendine rotuleo si è rotto, di nuovo. Tutti si fermano, lo stadio si ammutolisce. Ronaldo è vittima non soltanto di un infortunio fisico ma anche, e prima di tutto, di uno psicodramma. Tutti, compreso lui, in quel momento si domandano se potrà mai tornare a giocare. Se si è rotto di nuovo, esattamente nella stessa maniera, vuol dire che è così fragile da non poter più essere quello di prima? La storia dirà che Ronaldo sarà in grado di tornare. Tornerà ad essere fortissimo e vincerà, vincerà ancora tutto, senza però essere mai più quello che, secondo alcuni, è ancora il calciatore più forte che si sia mai visto nella storia. Non sarà mai più il Ronaldo che ha vestito la maglia dell’Inter nei due anni precedenti a quell’infortunio.
Rafa Nadal, 2009, Roland Garros
Roger Federer e Rafa Nadal hanno polarizzato l’attenzione tennistica dei primi dieci anni del Duemila, prima che arrivasse il serbo Djokovic e, in seguito, l’attuale “disappeared” Murray. Ma le battaglie tra lo svizzero e lo spagnolo hanno portato il tennis a un livello superiore. Nel 2009, Nadal, sulla carta, è imbattibile, ma dopo la vittoria della classifica ATP del 2008, le sue ginocchia iniziano ad essere logore, a fare fatica, a essere straziate dalla potenza, dalla foga e dalla violenza con cui lo stesso Rafa gioca il suo tennis. Nadal soffre di tendinite cronica ma si trascina in campo lo stesso, presentandosi al via del Roland Garros come grande favorito. Un apparente strapotere, quello dello spagnolo sulla terra rossa, che lo porta a far segnare, addirittura, il record assoluto di vittorie consecutive in quel torneo (30, superando Chris Evert a quota 29 e Borg a 28), dopo aver battuto l’australiano Hewitt al terzo turno. Ma è agli ottavi di finale che il suo fisico chiede il conto. Nadal viene sconfitto a sorpresa dallo svedese Robin Söderling. È la prima sconfitta in carriera, per Nadal, in un match a 5 set, sul campo di terra battuta, dopo 48 vittorie in 48 partite.
Lindsey Vonn, 2013, Coppa del Mondo di Sci
Una delle più grandi sciatrici del mondo, sicuramente della storia americana. Lindsey Vonn è conosciuta da tutti, chi per le curve tirate in discesa, chi per quelle postate sui social. La stagione 2013 non inizia nel migliore dei modi: il 5 febbraio, nel SuperG dei Mondiali di Schladming, si infortuna alla gamba destra, riportando la frattura del piatto tibiale laterale, la rottura del legamento crociato anteriore e la rottura del collaterale mediale. Un disastro. Rientra il 6 dicembre dello stesso anno, a Lake Louise, ma soltanto quindici giorni dopo, in occasione della discesa libera di Val-d'Isère il ginocchio cede. Di nuovo. Lindsey non ha recuperato come avrebbe dovuto e con la caduta subisce un nuovo pesante infortunio al ginocchio destro, compromettendo la sua partecipazione ai Giochi Olimpici invernali di Soči 2014 e al resto delle gare di Coppa del Mondo.
Usain Bolt, 2017, Mondiali di Londra
L’uomo più veloce della Terra, l’uomo più veloce della storia, l’uomo più veloce, punto. Anche un uomo veloce, però, può fermarsi. Usain Bolt è stato un atleta fuori da ogni logica. Una potenza esplosiva mai vista su una pista di atletica che, dal 2007 al 2013, gli permette di portare a casa qualsiasi competizioni cui prenda parte. Fino al 2014, quando qualche acciacco lo inizia a mettere in difficoltà. Lo stress dei viaggi, gli allenamenti, gli show a cui è spesso costretto a partecipare - perché organizzati dagli sponsor - non fanno altro che acuire il problema che spesso è stato “nascosto” fino alla più grande delusione del corridore giamaicano, l’infortunio nella staffetta 4X100 dei Mondiali di Atletica di Londra, del 2017, in occasione della sua ultima gara ufficiale. Soccorso in pista, è stato accompagnato fuori dallo stadio su una sedia a rotelle, concludendo, così, la sua carriera nel più triste dei modi.