C'è una ritualità nei movimenti di Max Verstappen. Si sistema il collo della tuta prima di rispondere alle domande nelle interviste, piega la visiera del cappellino che non toglie mai e quando è costretto a farne a meno, come al momento dell'Inno Nazionale sul podio, si sistema due volte i capelli con una mano. Sorride con gli occhi più che con la bocca, parla poco ma non lascia niente al caso. Lo ha fatto anche in Francia quando, testimone del disastro Ferrari di Charles Leclerc al Paul Ricard si è aperto via radio imprecando preoccupato: "Ca**o, sta bene?" ha chiesto, aspettando notizie sulle condizioni dell'avversario che sì, stava fortunatamente uscendo dalla monoposto sulle sue gambe ma allo stesso tempo no, stava tutt'altro che bene.
Parliamo di lui, di Charles Leclerc, di quel suo sogno infinito di riportare alta la bandiera della Ferrari. Parliamo di quanto ami la storia di Maranello, di quanto la scuderia italiana possa essere un peso, oltre che un onore, da portarsi addosso. E parliamo di come quando vuoi qualcosa con tutto te stesso sia facile vederselo scivolare tra le mani.
E mentre parliamo del sogno distrutto e di un mondiale ormai irrimediabilmente crepato, ci dimentichiamo di chi ancora una volta occupa il gradino più alto del podio. Perché è nelle cose che non diciamo di lui, Max Verstappen. Nell'enorme crescita che ha fatto in questi anni, o di quanto abbia fatto tesoro della lotta mondiale con Lewis Hamilton nella scorsa stagione. Di come si sia trasformato in un pilota completamente diverso rispetto a quello dei suoi primi giorni in Ferrari quando, più giovane tra gli intoccabili, veniva seppellito dalla smania di dover sempre dimostrare qualcosa agli altri e chissà, forse anche a se stesso.
Dimostrare al Max bambino, cresciuto per essere solo e soltanto un campione del mondo di Formula 1, che quel risultato non solo era possibile, ma era anche più vicino di quanto si potesse pensare. Mettersi in mostra davanti a chi ancora non conosceva il suo nome e doveva impararlo in fretta, capire con chi avrebbero presto dovuto avere a che fare.
Max Verstappen non è più quel pilota, e presi come siamo tra le retrovie romantiche di una storia sportivamente tragica e impossibile da non raccontare, ci dimentichiamo troppo spesso di osservarlo con attenzione. Notare l'attenzione rivolta al suo avversario di sempre, Charles Leclerc, e l'ottimo rapporto con il suo compagno di squadra, Sergio Perez. Fare caso a un carattere più docile, come se la rabbia dei primi anni lo avesse finalmente lasciato in pace, restituendoci il ritratto di un pilota che con l'esperienza, lo strazio e la fatica, è riuscito a smussare gli angoli più pericolosi di un carattere difficile e regalarci oggi, mentre tutti sono troppo impegnati a guardare altrove, la bellezza della sua semplicità.
Primo, anche quando nessuno lo guarda. Imprendibile e indomabile davanti agli errori degli altri e ai suoi, che non arrivano mai. Così com'è, straordinario in tutte le cose che non diciamo mai di lui.