Fuori dai denti. Un’espressione che sta a significare esprimersi sinceramente, con franchezza, trasparenza, senza omettere alcuna considerazione. È quanto ha fatto Sinisa Mihajlović ieri sera dopo la sconfitta del suo Bologna contro il Sassuolo: “Vorrei dire che domenica abbiamo vinto con Inter, con un uomo in meno, abbiamo recuperato, e ho visto quella trasmissione dove si tolgono le giacche con quello piccolino che conduce, marito di Benedetta Parodi, no? E c’erano anche Bergomi e tutto… Ho sentito mezz’ora di quella roba là e non si è mai parlato del Bologna, è una vergogna. Sembrava che lavorate per Inter Channel”. Come si dice in questi casi? Ah, sì. L’appoggia piano, Sinisa. Come in campo, così fuori e anche nella vita. L’allenatore del Bologna se la prende con Fabio Caressa, senza nemmeno nominarlo, senza nemmeno conferirgli importanza o rilevanza, ma rilevanza invece ne ha, perché Fabio Caressa, “il piccoletto che conduce”, qualche lacuna ce l'ha. Vi facciamo qualche esempio.
Ok, Caressa è "Andiamo a Berlino", è colui che ci ha fatto vivere la finale contro la Francia del Mondiale 2006 in modo meraviglioso (oggi l'anniversario, tra l'altro) e di questo non ci dimenticheremo mai. Ma qualche settimana fa in Atalanta-Lazio, Caressa, affiancato da Beppe Bergomi, avrà utilizzato la frase “Immergiamoci. Si scende in campo” una trentina di volte e non stiamo esagerando. Lo diceva per accompagnare lo spettatore all’interno del ring verde, per sentire le voci, le indicazioni dell’allenatore, le scelte dell’arbitro. Tutto bello, la prima volta. Forse la seconda. Ma quando arrivi a ripetere per trenta volta la stessa cosa, diventa tediante. Prendete la partita, riguardatela. Ogni pausa (calcio d’angolo, punizione, sostituzioni) dice “immergiamoci”. Ma che bisogno c’è di esasperare questo concetto rendendolo fastidioso?
Le perle di Caressa si sprecano: da quando ha chiamato Spinazzola della Roma, per quasi una partita intera, Zambrotta, dicendo “prima o poi sarebbe dovuto accadere”. Perché? Per le “zeta” in comune? Non certo per il talento, né per la squadra di riferimento. Oppure quando, nella stessa partita (Inter-Roma della scorsa stagione) insiste su Lazaro che si sta scaldando per prendere il posto di Candreva quando l’esterno italiano è già nello spogliatoio da almeno venti minuti buoni.
Senza dimenticare la lite con Spalletti, le gaffe con Pellegri, la parrucca in trasmissione. Da ricordare anche la sapiente considerazione su Klopp. Dopo la sconfitta del Liverpool al Camp Nou contro il Barcellona disse: “Klopp rischia di diventare il tecnico più esaltato e meno vincente della storia”. Capito? Klopp. Dopo quella frase ha vinto una Champions League e una Premier. Così per dire.
Da qualche stagione Fabio Caressa, conduttore di Sky Calcio Club oltre che telecronista, è diventato un personaggio dello spettacolo con delega al calcio. Ha accantonato la cronaca, il commento delle partite, in favore del gossip, dell’enfatizzazione delle futilità, della spasmodica ricerca della novità anche laddove non ce ne sono, spostando l’attenzione dal campo da gioco a sé stesso e a ciò che sa in alcuni casi, o a cosa lui pensa di sapere in altri.
E poi un tempo si urlava solo per sottolineare il nome del giocatore che aveva appena segnato. O per una giocata clamorosa: poi è arrivato Caressa. Il telecronista di punta di Sky grida anche per una sostituzione, per un giocatore che si scalda vicino alla curva, per l’arbitro che ha fermato il gioco o che ha dato ben quattro minuti di recupero, per una rimessa laterale molto lunga o per una gran chiamata. Ma questo non è calcio, non è raccontare una partita di pallone. Che sia, forse, un'immersione?