Mettiamola così, barando di poche lettere: lui è Marco Marchi. Otto volte campione del mondo, una scarica di tratti italici e legame viscerale col sangue del suo sangue, tanto da condividere il tetto con il fratello, nonostante età e possibilità, e fino a farlo assumere sotto lo stesso “padrone”. Ma si chiama Marc Marquez invece di Marco Marchi, è spagnolo, invece che italiano. E quindi finisce per starci profondamente sulle balle.
Non solo perchè vince ed è condannato, come la storia insegna, ad essere amato o odiato; non solo perchè cannibalizza uno sport a dispetto di leggende nostrane; non solo perchè ancora giovane e con tutta la carriera davanti. Ma perchè sembra aver beneficiato dello Ius Culturae prima ancora che lo Ius Culturae venisse realmente proposto nelle sedi più opportune.
Marc Marquez ci sta profondamente sulle balle perchè è più italiano di un italiano. Pur essendo spagnolo. Non c’entrano le comuni origini latine, l’Europa che è un unico popolo e diocenevoglia se c’entra la politica, i populismi, i buonismi e tutti quegli “ismo” che quando non stanno in coda alle parole “motociclo” e “motori” fanno solo vomitare.
Chiediamocelo: e se gli italiani odiassero così tanto Marquez perchè è l'italianità fatta motociclista? Andiamo per ordine, ma barando di poche lettere.
Il ragazzo di Cervera (provincia italiana in Spagna) ha talento da vendere, quel talento che è oggettivamente e solitamente riconosciuto oltreconfine agli italiani: capaci di far sembrare che impegno e sacrificio non servano quando c'è l'estro e quando la natura è stata generosa. Aria perculante e attenzione maniacale agli approcci, da responsabile marketing e rete venditori di una italianissima azienda italiana; sembra uno che non sa quello che fa, uno che non lo prenderesti sul serio nemmeno a un funerale, e invece poi ti si piazza davanti nel giorno delle premiazioni per i dati di vendita (se sei un collega) o ti fa ritrovare che gli hai comprato pure una sconfitta pagandola profumatamente (se sei un cliente). Ecco, Marco Marchi potrebbe essere uno che il cartellino lo timbra quando gli pare, ma comunque il lavoro lo fa, se serve ricorrendo pure al mezzuccio… come un italiano. Uno pronto a giocarsela con gli avversari e consapevole di poter vincere, ma se gli avversari non partono proprio è meglio. E se partono si vedrà.
Perché tanto, poi, Marco Marchi è capace di recuperi che evocano Cannavaro ai Mondiali del 2006 e, proprio come un italiano, se casca “casca sempre in piedi”. Uno votato allo spettacolo senza darlo a vedere, con quell’atteggiamento scanzonato di chi fa l’attore perchè di andare a lavorare non ne sarebbe stato capace, ma che in verità s’è formato nelle migliori accademie e risultando persino capace di restare nella parte anche dietro le quinte o quando le telecamere si sono spente.
Marco Marchi ha quell’apparente superficialità che è quasi sempre il tratto sottolineato da chi è chiamato a descrivere un italiano…badando bene di non porre l’accento su “apparente”. Il tutto condito da fame rabbiosa e visione dell'avversario come di un nemico, come un italiano. Senza dimenticare, chiaramente, la tendenza al biscotto e all'accordo con l'avversario per combattere un terzo nemico; magari per poi dimenticare presto l'alleanza e costringere il vecchio amico e collega a crisi isterica, pensione anticipata e esilio in Indonesia (è lì che andò Jorge Lorenzo subito dopo la fine del Mondiale 2019). Con tanto di “fa buon viaggio e mi raccomando mandami una cartolina da Bali”, oltre all’immancabile pacca sulla spalla, come un italiano. Con la risata eterna di facciata da italianissimo "volemoce bene, ma famoce male".
Fino all’apoteosi dello stereotipo dell’italiano. Infatti ora, e qui c’è proprio il fattaccio italianisticamente più insopportabile per un italiano, anche la capacità di far assumere il fratello: “è un bravo figlio, capite a me, tengo famiglia”. Alessandro Marchi, in effetti, è uno bravo ma non bravissimo, ma Marco Marchi, italiano fino al midollo, ha saputo (probabilmente anche con sacrosanti meriti) circuire un padrone che oggi è contento di firmare assegni a fine mese, anche se è ben consapevole di non essere più abbastanza padrone di far lavorare chi vuole o chi merita di più. Almeno per il Mondiale 2020.
Roba che non è riuscita nemmeno alla leggenda nostrana, che ha il più tipico dei cognomi italiani e che pure c’ha provato, ma, in uno sbotto di internazionalità, ha sentito di darsi una regolata e accontentarsi.
Roba, insomma, da medaglia d’oro alla “peggiore” italianità… questo Marco Marchi!