È vero, sembra uno di quelli che se lo fai giocare comincia a dire “il pallone è mio” e se le cose non vanno come vorrebbe smette di giocare portandosi via il pallone. Ma è bravo. Lo ha dimostrato e forse può dimostrarlo ancora. E poi fa pure un po’ tenerezza, perché quando lascia trasparire la sua umanità è quasi goffo. Impacciato. Solo no, ma vistosamente isolato sì. Ecco perché oggi e qui, ora e adesso, noi di MOW abbiamo deciso di lanciare un appello: qualcuno giochi con il bambino Lorenzo! Jorge Lorenzo. Quello che ha vinto cinque campionati del mondo e poi s’è portato via il pallone quando non è risultato essere il più bravo in campo. Quello che sembra mancargli sempre un soldo per fare una lira e che, ironia della sorte e della matematica, correva con il 99 sul cupolino (quasi 100). Quello che ha vissuto da robot programmato per vincere gli anni della sua infanzia e della sua gioventù e che adesso, nel tentativo di recuperare il perduto, compra hypercar come fossero Bburago, approccia i social come un tredicenne in cerca di ragazze, si pone al mondo come un Marchese del Grillo in salsa iberica, si lascia andare ad affermazioni da leone da tastiera e cerca considerazione come se non avesse appeso il casco al chiodo. Ma che, ormai è chiaro a tutti, mostra le zanne sempre e comunque nella speranza che nessuno si accorga di ciò che è realmente: un vincente adultobambino spaesato.
Jorge Lorenzo risulta simpatico per quanto è antipatico. Un paradosso? No, assolutamente no.
Perché se nel giorno stesso in cui hai visto la luce qualcuno ha deciso per te che avresti dovuto avere una carriera nelle motociclette, se quel qualcuno ha una personalità fortissima come quella di papà Chico, tu, bambino, non ti opporrai al matrimonio combinato tra te e la motocicletta. E poi, siccome la motocicletta è pure un giocattolo non per tutti e che ti rende unico, sei pure contento di non opporti. E se nel frattempo vinci, diventi pure un po’ cazzone e spavaldo. Sì, ha guadagnato miliardi, andare a lavorare sarebbe stato sicuramente peggio, ha fatto quello che gli piaceva e tutte le banalità bla bla bla che si dicono raccontando le storie di certi personaggi. Ma dietro a chi arriva c’è una fatica mostruosa, che può essere affrontata col sorriso ed un divertimento autentico (vedasi Valentino Rossi o Marc Marquez), oppure come un dovere. È un po’ come a scuola, c’era quello bravissimo perché gli riusciva tutto facile e quello bravissimo perché studiava come un matto e si applicava con uno spirito di sacrificio disumano. Jorge Lorenzo è appartenuto a questo secondo gruppo. Alfieri per studiare si fece legare ad una sedia. Lorenzo è stato legato alle selle delle moto. Programmato per vincere. E quando sei un bambino non è uno scherzo. Basta leggere la sua biografia per capirlo. Perché puoi celebrarti quanto vuoi, ma nel mezzo di ogni riga, nella scelta delle parole, si percepisce il retrogusto amaro della sofferenza. La sofferenza di uno che ha messo sul piatto tanto per vincere altrettanto, senza che fosse però sufficiente per essere il più amato. E nemmeno uno dei più amati. Con la sfiga di non essere il più amato perché insieme a te a giocare c’erano due, Rossi e Marquez, che ridendo e scherzando riescono in quello che a te riesce spaccandoti la schiena. E magari per tutta la vita ti sei detto che quegli anni di sacrifici, quegli anni di vita rigida da atleta e da professionista ti sarebbero serviti per investimento nel futuro. Ma poi, quando il futuro diventa presente, ti ritrovi con le tasche piene, nel castello incantato e con le donne e il garage di un sultano, ma senza la testa del bambino che non sei stato.
È goffo, Jorge, e fa tenerezza. Anche se fa di tutto per sembrare uno che la mattina vorresti averlo sul comodino per picchiarlo in testa come si fa con la sveglia quando suona troppo presto. Lui troppo presto ha smesso di correre. Una decisione che non è stata, probabilmente, figlia di una lunga riflessione. Ma dell’impulso del momento, dell’impulso di un bambino che rendendosi conto di non poter competere con i più bravi ha mandato a fanculo tutti e s’è portato via il pallone. Ma che adesso, con la sfiga d’essere rimasto solo con i suoi pensieri (e con quella bestia spietata senza filtri che è l’introspezione) per oltre un mese in una stanza d’albergo a causa della quarantena, sta prendendo coscienza di avere ancora voglia di giocare. Che poi è quello che ha sempre saputo. Ma nella fortuna di un pilota che ha vinto tantissimo, c’è pure la sfiga di un ragazzo che s’è ritrovato, soprattutto ultimamente, i piani sempre scombinati.
Nel 2015 ha vinto un Mondiale – certamente approfittando dei bisticci da amanti tradite degli altri due primi della classe – e nessuno ha potuto riconoscergliene il merito fino in fondo (e mentre festeggiava gli ha preso pure fuoco la moto ustionandolo). Nemmeno dentro alla stessa Yamaha. Tanto che ha preso il pallone ed è andato a giocare con quelli di Ducati. Ma anche lì non ha avuto la pazienza di prendere le misure con il terreno di gioco e si è accordato per prendere il pallone e andare a giocare in Honda, ma nel momento immediatamente successivo sono arrivati i risultati. In Ducati sarebbe, forse, diventato un eroe e lì avrebbe, probabilmente, trovato l’affetto che non ha mai avuto intorno, perché i tifosi di Ducati sono così, più sanguigni e pronti ad accogliere con gli onori da eroi i loro piloti. Ma Lorenzo aveva già promesso di mollare tutto. Andando a finire dove? Alla Honda, dentro casa del primo della classe, ospite senza sorriso di uno stadio che non solo non l’avrebbe mai acclamato, ma nemmeno applaudito. S’è tirato su le maniche della tuta come fanno quelli programmati per vincere, ma nel tentativo di strafare è caduto facendosi seriamente male. E gli è venuta voglia di bucarlo proprio sto pallone. Non lo ha fatto, si è limitato a sgonfiarlo, pensando di poter facilmente reperire una pompa per tornare a gonfiarlo appena ne avesse avuto voglia. Tanto da lasciarsi aperta una porta sotto forma di partecipazione a qualche gara come wildcard. Ma c’è stato il Covid. Niente gare ed è pure rimasto bloccato dentro la stanza di un albergo. E quando è tornato s’è ritrovato a fare un aperitivo con Iannone nei giorni stessi in cui l’abruzzese, oltre ad aver visto per la seconda volta una sua ex lasciarlo per quello di prima, è pure stato raggiunto dall’assurda squalifica di 18 mesi. Una cosa che, per carità, a Lorenzo fa sicuramente onore, ma che mediaticamente non è proprio il massimo. Dai oh, una sintesi che Fantozzi scansati. Come è umano Jorge!
E non c’è niente da ridere, ora, se il bambino Lorenzo ha voglia di giocare ancora con l’unico giocattolo con cui sa giocare davvero. Nemmeno se si propone a destra e manca come una che ammicca in tangenziale. Il messaggio fatto recapitare recentemente a Ducati è l’ennesima dimostrazione che la motivazione c’è e che quel bambino ha voglia di non essere più un ragazzino che vince, ma un uomo che sa vincere ancora. E qualcuno dovrebbe consentirglielo, di risalire in sella, perché è palese che non ha detto tutto quello che c’era da dire. È palese pure che abbia un grandissimo manico. E quelli che hanno talento, hanno voglia di dire e hanno pure maturato il senso di sfida di voler dimostrare ancora qualcosa, spesso finiscono col farcela davvero (e di nuovo). Qualcuno faccia giocare il bambino Lorenzo! Nel fare le squadre, alla classica conta di inizio partita, qualcuno si ricordi di sceglierlo e non lasciarlo per ultimo. Perché lasciare per ultimo un vincente è un peccato. Siamo pronti a scommettere che si impegnerà ad essere pure un pochino più simpatico.