In Spagna lo chiamano el Tiburón de Mazarrón: suona figo, anni novanta, nome perfetto per un capitano pirata dell’isola della Tortuga o per un narcotrafficante uscito dall’ultimo romanzo di Don Winslow. Pedro Acosta, 18 anni, è il fenomeno per cui Carmelo Ezpeleta prega la sera prima di dormire. Talento puro, una precocità imbarazzante, la lingua sciolta di chi è al terzo giro di bevute. Numeri in pista e sulla carta. Pedro è santificato dai più grandi: Valentino Rossi, Marc Marquez, Kevin Schwantz, Giacomo Agostini, Marco Lucchinelli, Jorge Lorenzo, Casey Stoner. Chiamane uno, chiedi un nome, ti risponderà Acosta. Vincere però non basta, per convincere anche gli italiani a tifare uno spagnolo serve un genio. Il quale, nel motociclismo, è proprio come viene descritto in Amici Miei: “Fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione”. Come Rossi a Laguna Seca, Marquez nei flag to flag. Pedro Acosta è questa roba qui, ti costringe ad interessarti perché vuoi vivere le tre i che descrivono i fuoriclasse: imprevedibili, irripetibili, inarrivabili. Sai che Acosta può mettere il suo nome in cima alla lista ai test della Moto2, da esordiente, sai che sempre da esordiente può vincere una gara partendo ultimo. Che può vincere un mondiale da minorenne e trovarsi costretto a festeggiare senza brindare sul podio né tantomeno la patente in tasca. Sai che, per lui, le regole degli altri non hanno senso di esistere: dopo il secondo posto al Sachsenring, due gare dopo la vittoria al Mugello, ha detto di essere andato fotte perché “Tenia ganas de cagar”, voleva cagare. È andato dritto verso quel paragone con Valentino Rossi che si chiude in un bagno chimico dopo la vittoria a Jerez ‘99. Non solo, Acosta piace anche a chi segue le gare da quando erano in chiaro sulla Rai, quelli che se c’è una certezza è che si stava meglio prima: Il Tiburón adora Kevin Schwantz e per loro vuol dire tutto. Vuol dire valori anni Settanta, lo spettacolo che conta più del risultato, la voglia di godersi tutto delle corse - anche il paddock e le interviste, magari - che ormai è roba fuori dal comune.
Ultimamente, ad un evento KTM, Pedro Acosta ha spiegato anche di non avere più riferimenti in pista: “Non vedo gli attuali piloti della MotoGP come modelli”, ha raccontato. "Ricordo Stoner più di Marquez, perché da piccolo seguivo di più i piloti, mi sedevo sul divano e guardavo le gare”. Ora che le fa, il tempo per guardare gli altri è sempre meno. Come a dire che se vuoi fare meglio degli altri è inutile pensare a loro, devi pensare a te stesso. L’anno prossimo Pedro Acosta sarà ancora in Moto2, a giocarsi un titolo che ad oggi - per fortuna, probabilmente soprattutto sua - sembra troppo distante, complice l'infortunio in allenamento prima di Assen. Anche negli infortuni e nelle cadute sembra averne di più: ad Austin, dopo il disastro sul rettilineo causato da Deniz Oncu nel 2021, era pronto a ripartire nonostante l’impressione più o meno unanime che avesse rischiato di morirci. E, tra poco, tornerà da una frattura al femore con più consapevolezza. Nessuno, degli altri ragazzi in griglia, vuole trovarsi a competere con lui: sei più vecchio, hai vinto meno e ci metti di più ad imparare. Al netto di possibili colpi di scena, la MotoGP sarà presto tutta roba sua. Almeno per un po'.