Carlos Sainz poteva scegliere di restare in Mclaren. La squadra stava crescendo di anno in anno, il rapporto con il suo compagno di squadra andava benissimo, non esistevano primi e secondi piloti, gerarchie meschine, pressioni eccessive. Il suo posto era lì, tra la storia stellare di una scuderia che ha custodito il debutto di Lewis Hamilton e il grande successo di Ayrton Senna. Quando è arrivata LA chiamata però, Carlos ha tentennato.
Lo ha raccontato prima del via di questo weekend di gara a Le Castellet alla BBC, spiegando come “arrivare alla Ferrari è certamente stata una mossa dettata dal romanticismo”.
Sapeva che sarebbe stato difficile correre con e contro Leclerc, in tutti i modi possibili. In pista, dove il monegasco rappresenta uno dei talenti più puri della griglia, ma anche - e forse soprattutto - fuori da lì. Nei box della Rossa, dove Sainz avrebbe dovuto imparare a farsi ascoltare, e nel cuore di tutti tifosi, dove Charles oggi occupa una posizione centrale. Però Sainz ha parlato con Binotto, scoprendo che le chance sarebbero state le stesse, e ha detto sì.
Nonostante le difficoltà evidenti della Ferrari, la parabola decrescente e disastrosa avuta da Vettel, il mondiale di Raikkonen - l’ultimo - ormai lontano 14 anni. Nonostante tutto, Carlos ha scelto con il cuore. E questo più di tante altre cose rappresenta il senso profondo e difficile da spiegare nella scuderia di Maranello. Della tifoseria che abita e anima il mondo Ferrari, della passione che dimostra chiunque ci lavori, dal primo dei piloti all’ultimo dei meccanici.
E per lo stesso motivo Antonio Giovinazzi, ha recentemente raccontato il padre nel corso di un’intervista, all’inizio della sua carriera in F1 disse no a Toto Wolff, scegliendo di rimanere nell’orbita Ferrari e non prendere la strada di crescita nel panorama Mercedes. Scelta sbagliata? Giusta? Chi può sapere oggi come le cose sarebbero potute andare ma, di tutto questo, resta la motivazione: “Il suo cuore è rosso - ha detto il padre - e ha scelto Ferrari”.
Strada che avrebbe percorso ad occhi chiusi anche Daniel Ricciardo se, quella chiamata da Mattia Binotto, fosse arrivata per lui e non per Carlos Sainz. L’australiano ha scelto McLaren, sicuramente non una delusione per lui, ma se sul piatto ci fossero state entrambe le proposte non ci sono dubbi su quale sarebbe stata la decisione finale di Ricciardo.
E tra il romanticismo infantile rimasto ancorato addosso a questi piloti e il bisogno di correre seguendo sempre istinto, la Ferrari, sconfitta in pista anche in questa stagione, esce vincitrice. Di sentimenti, di gioie enormi e arrabbiature doppie, triple, infinite. Di cose che non stanno mai nella terra di mezzo ma seguono la bellezza di ciò che abbiamo amato da bambini e che continuiamo a inseguire oggi.