I più romantici, almeno tra quelli che hanno sempre creduto in lui, c’avevano sperato: Petrucci farà bene, Ducati rimpiangerà di aver lasciato andare un ragazzo e un pilota così e appena possibile i due si ritroveranno. Invece se le cose continueranno per come sono cominciate quest’anno, e proseguite, la coppia formata dal ternano ruspante e dalla rossa di Borgo Panigale non la rivedremo più. E pure chi aveva sperato in una separazione passeggera adesso comincia a vedere disattesa ogni certezza. “Sono un professionista – aveva dichiarato Danilo all’indomani della notizia che Ducati aveva scelto di non puntare più su di lui – è chiaro che darò il massimo fino all’ultimo metro dell’ultima gara. E non vedo l’ora di iniziare. Mi sto allenando molto, soprattutto con la bici e con la moto da cross, voglio essere pronto per quando ci diranno che potremo tornare a fare quello che più amiamo: correre in moto. Anche se ridotta, anche se senza pubblico, c’è una stagione da disputare per migliorare nei risultati, ma anche e soprattutto per migliorare come pilota”. C’era comprensibilissima amarezza nelle sue parole per come erano andate le cose, ma c’era anche ferma determinazione a farsi rimpiangere, oltre che altrettanto ferma convinzione di essere un pilota all’altezza della MotoGP. Poi è arrivato Jerez e la sfortuna c’ha messo del suo. Poi è arrivato “Jerez due” e le scusanti hanno iniziato a venir meno. Perché è stato sempre dietro, perché se è vero che la Ducati in questo fine settimana non ha brillato, è altrettanto vero che Danilo Petrucci non è proprio pervenuto. E dispiace, perché Petrucci non è un brocco e ha pure una bella storia.
La storia di uno che ha un papà che si chiama Danilo come lui e che era nel giro del Motomondiale. Ma no come pilota, tecnico o dirigente: come autista del camion di Loris Capirossi ai tempi del team Pileri. Il resto l’ha fatto la provenienza, con Danilo Junior che essendo di Terni, città di acciaierie, è cresciuto con quell’aura da pilota operaio che lo ha reso uno a cui non puoi non voler bene. Perché ha quell’atteggiamento lì, scanzonato come un ultimo della classe che sa benissimo di non essere affatto l’ultimo. Con quell’accento lì, soprattutto quando mischia un inglese perfetto con una cadenza che strappa sorrisi (nessuno si offenda: chi scrive è maceratese). Non ha fatto la trafila di tutti, Danilo Petrucci: è passato dalle porte secondarie, come fanno quelli che, appunto, vengono dalla classe operaia. Nessuna pappa pronta e tanta fatica, soprattutto in quelle categorie in cui correre in moto è solo un divertimento che costa cifre assurde. Una gavetta che avrebbe scoraggiato chiunque: perché le vittorie arrivavano, i passi avanti mai. Aveva “svernato” indossando la divisa della Polizia di Stato, nella squadra sportiva come pilota, ma quando ha iniziato a guadagnare cifre dignitose ha lasciato spazio a chi aveva più bisogno: “Quei soldi possono essere la certezza di qualcun altro, è giusto che non sia più io a prenderli”. L’arrivo in MotoGp, nel 2012, non era però stato felice e pure il passaggio alla Art – Aprilia era da dimenticare. Poi il colpo di coda, l’arrivo in Ducati Pramac e i meccanismi, dell’uomo e del pilota, che hanno iniziato a funzionare. E pensare che voleva smettere, chiudere il suo conto con la velocità e dedicarsi all’unica cosa che ama davvero: il cross.
Aveva tenuto duro e aveva vinto. Fino a guadagnare la sella della Ducati ufficiale, il suo sogno, il suo marchio, con tanto di ciliegina sulla torta di una vittoria al Mugello. Poi il buio. Problemi fisici tanti. Problemi con una stazza non proprio da pilota e che gli fa consumare tantissimo la gomma posteriore pure. Qualche caduta. Ma non è tutto qui. C’è stato qualcosa anche nella testa, come dimostra un sorriso che è andato sempre più spegnendosi e uno sguardo che andato sempre più abbassandosi. Petrucci non è costante e si abbatte troppo facilmente, dicono i suoi detrattori. E il problema adesso è che il ragazzo di Terni gli sta dando pure ragione. Perché la reazione alla sfiducia nei sui confronti dimostrata da Ducati non poteva e non doveva essere questa. Anche perché alla sfiducia di Ducati si è presto contrapposta la fiducia accordata, invece, da KTM. Ma ora qualche dubbio rischia di nascere anche in Austria, dove quelli troppo emotivi non è che siano molto compresi. E’ vero (oltre ad aver dovuto incassare un ben servito poco elegante e probabilmente anche immeritato) nel primo round di Jerez è andato tuto storto: malanni fisici, brutta caduta - con conseguenze che hanno anche messo in discussione la partecipazione alla corsa - e poi gara da dimenticare con tanto di altra scivolata. Roba da presentarsi al secondo appuntamento con l’Angel Nieto Circuit con il fuoco negli occhi. Con la voglia di spaccare tutto. E invece niente. Spento, mai protagonista della giostra e nemmeno comparsa. Arreso anche nelle interviste, dove alle parole di circostanza non corrispondeva l’espressione di uno che vuole invertire la rotta. Ha sofferto gli stessi problemi di Andrea Dovizioso (che però al traguardo ci è arrivato) e probabilmente questa Ducati qualche cosa che non funziona bene ce l’ha davvero, ma non è finendo steso sulla ghiaia che si risolve. Non è imputando tutto alla moto o alla gomma che ci si solleva. Il soldato Petrucci può salvarsi solo da solo. Come ha fatto sempre. Come sa fare. Lo deve alla classe operaia e a chi in lui ha sempre visto il simbolo di un criterio di vita: piccoli passi verso grandi sogni.