Pep Guardiola è un illuminato. Pep Guardiola è come Steve Jobs. Pep Guardiola ha stile. Pep Guardiola oggi compie gli anni: è nato il 18 gennaio 1971. Pep Guardiola saltella negli spogliatoi, pare un grillo, un pazzo, un esaltato. Dietro di lui una lavagna, davanti tutti i suoi giocatori in cerchio, tutti zitti. Urla: ”Dovete imparare a giocare con coraggio”. Gliel’ho visto fare in All or Nothing - Manchester City, guardatelo su Amazon Prime anche se di pallone non ve ne fotte niente. Capirete che ho ragione. Capirete il perché dico così. Capirete perché è un illuminato e perché conoscere Pep Guardiola vi può aiutare nella vita, nel lavoro, nell’amore, con gli amici; sempre.
Il contesto è fondamentale: Guardiola arriva al City dopo 7 anni in cui, tra Barcellona e Bayern, ha vinto 24 trofei. Praticamente ha vinto ogni cosa a cui ha partecipato. Guardiola gioca il Tiki Taka, possesso palla all’infinito, passaggi corti e continui, ma in Inghilterra sono scettici: il calcio da queste parti è più violento, fisico, verticale. E uno così, con la storia come la sua, non può non vincere. Il primo anno al City, però, non vince niente. Il secondo nello spogliatoio entrano le telecamere. Ed è grazie ad Amazon che è possibile assistere a come Guardiola motiva una squadra che non ha più molta fiducia in se stessa. Avete il talento, dice ai suoi, vi impegnate, ma senza coraggio non c’è personalità, non vi prendete rischi. E se non si prendono rischi non si crea superiorità numerica, non si trovano i gran gol al volo, non si cambia il corso delle partite, soprattutto quando si è in difficoltà. In campo. Nella vita. Pure nella vita.
L’ho visto due anni fa questo documentario. E ci sono altre tre cose che mi ricordo nitidamente. Pep Guardiola è sempre umile. Lo racconta anche Carletto Mazzone che lo ha allenato al Brescia. Un giorno Mazzone stava pranzando, squilla il telefono di casa. Lo chiamano: “È Guardiola, vuole parlare con te”. Mazzone credeva fosse uno scherzo, invece no: “Mister - gli fa - domani all’Olimpico gioco la mia prima finale di Champions da allenatore. La vorrei in tribuna. Se sono arrivato qui è anche per merito suo”. Mazzone ci va, e quando il Barcellona batte lo United piange come se avesse vinto lui.
Le altre due. Pep Guardiola che dice: “I miei giocatori li porto a odiarmi. Ma se odiarmi gli fa dare qualcosa in più, che mi odino pure”. Infine, la cattiveria, l’ossessione. Pep Guardiola non permette che nella testa dei suoi giocatori ci sia un centimetro libero per distrarsi dall’obiettivo. Nel mese di febbraio di quella stagione il City ha 20 punti di vantaggio sulla seconda, mancano due partite per vincere matematicamente lo scudetto. I giocatori però sono spompati, si allenano male, poi a Manchester a febbraio c’è un freddo da bestemmia e nel City ci sono argentini, africani, brasiliani, il freddo lo patiscono. Guardiola se ne accorge. Dispone due squadre in campo per una partita di allenamento e prima che comincino cammina nervosamente tra i giocatori e grida: “Siete stanchi? Vaffanculo! Non ce la fate più? Vaffanculo! Avete le gambe che non girano, che vi fanno male? Vaffanculo! La vostra testa vi chiede basta? Vaffanculoooo!”.
Quel secondo anno il City vince tre trofei. Da allora ogni anno qualche vittoria l’ha sempre portata a casa. Manca la Champions, vero. È sempre uscito in modi assurdi, ad esempio un gol annullato a causa di un millimetro di fuorigioco all’ultimo secondo. Ma Guardiola vuole riuscirci. Nel suo ufficio ha sempre avuto un foglio con sopra stampata una frase di Marcelo Bielsa, altro allenatore visionario, altro suo punto di riferimento: “Il successo deforma, rilassa, inganna, ci rende peggiori, ci fa innamorare di noi stessi. La sconfitta, al contrario, ci rende più forti”. Pep Guardiola è un illuminato. Tutti dovreste conoscerlo anche se di calcio non ve ne fotte niente. Pep Guardiola, oggi, compie 50 anni. E un giorno vincerà la Champions col City, ci scommetto.