I tifosi del Verona (sponda Hellas) si dividono in due categorie: quelli che frequentavano lo stadio ai tempi dello scudetto 1984-1985 e quelli che hanno iniziato a farlo soltanto in seguito. Io sono nato proprio quell’anno e, di quel periodo incredibile, ho sentito, ovviamente, soltanto parlare. Ecco perché, quando, ai tempi del liceo, andavo al Bentegodi, mi è capitato, più di una volta, di sentirmi dire: “Eh, ma tu non c’eri ai tempi dello scudetto”, frase che puntualmente faceva dare di matto un mio amico. “No, non c’ero”, diceva lui, “Ela colpa mia se son nato dopo?”. No, la colpa, ovviamente non era sua e non lo è di nessuno che non abbia avuto la possibilità di vivere in prima persona un periodo magico, nel mondo sport. Non è colpa di chi sia nato dopo, se non abbia mai avuto la possibilità di veder giocare Maradona, schiacciare dio-Michael Jordan, sciare Alberto Tomba o se non abbia fatto in tempo a godersi i mondiali di Rossi. Ma ora che sono io quello po’ più vecchio degli altri (di alcuni altri, tipo di Giulia Toninelli), non posso fare a meno di sentirmi come chi si vantava di aver visto il Verona sul tetto del mondo, quando leggo sui social delle prodezze dei motori V10, in Formula 1.
Fernando Alonso ha girato con la Renault del 2005, ad Abu Dhabi, e tutti a dire: “Ah, i V10”. Lewis Hamilton si è interrotto durante un’intervista, quando ha sentito la macchina dello spagnolo transitare nei paraggi e tutti a scrivere: “Ah, i V10”. Sì, ok, belli i V10, ma voi c’eravate quando in pista c’erano i V12? Io sì (finalmente posso dirlo) e ricordo bene cosa volesse dire sentirli passare a poche decine di metri di distanza. Me lo ricordo perché la prima volta che sono stato a Monza era il 1992 e, quelle macchine lì, le ho riviste anche nel 1994 e nel 1995. E ho perfettamente impresso nella memoria il momento in cui, sul rettilineo di rientro, prima della Prabolica, a dieci anni o giù di lì, mi toglievo i tappi per le orecchie per spararmi in vena (nei timpani) il suono di quelle auto in purezza. Non che ce ne fosse bisogno, in realtà, perché quei motori (ah, nel 1994 c’erano contemporaneamente i V8, i V10 e i V12) ti facevano tremare la cassa toracica a centinaia di metri di distanza. Parcheggiavi la macchina dentro certi pratoni fangosi e ti avventuravi per il Parco Reale, quando, improvvisamente, prendeva a crescere in lontananza un rumore acutissimo che si avvicinava sempre di più, prima di scomporsi in mille scoppietti gutturali, alla prima scalata. Era un’epifania incredibile, qualcosa di realmente extra-ordinario: non esistevano altri oggetti sulla faccia della terra, autorizzati a produrre un frastuono così, per il solo divertimento degli adulti.
Chi ha visto le MotoGP dal vivo ne ha una vaga idea. Le moto moderne ci si avvicinano a malapena, ma nulla può essere paragonato al suono di un V12 Ferrari. V12 su cui, peraltro, ad alimentarne la leggenda, si aggiunsero le parole di Michael Schumacher, all’epoca neo-ferrarista, in occasione del suo penultimo impiego ufficiale. In vista della stagione 1996, infatti, Ferrari aveva deciso di abbandonare lo storico frazionamento che tanto l’aveva identificata, soprattutto nel periodo dei mondiali di Lauda. Due i difetti che venivano imputati a questa soluzione e rispetto ai quali i V10 sembravano funzionare meglio: problemi di guidabilità (potenza tutta in alto) e, soprattutto, problemi di raffreddamento (erano necessari radiatori molto voluminosi, a discapito dell’aerodinamica), a loro volta causa di una pessima affidabilità. Insomma, com’è, come non è, venne ingaggiato Schumacher (già due volte campione del mondo), il quale, per prendere confidenza con la squadra, con la pista di Fiorano e con la meccanica della vettura, venne fatto scendere in pista, proprio sul circuito privato della Ferrari, a bordo di una Ferrari 412 T2 - auto guidata, fino a quel momento da Jean Alesi e Gerhard Berger, ultima Ferrari di Formula 1 ad essere equipaggiata con un V12. Secondo la leggenda, quello che, all’epoca, era considerato il pilota più forte in circolazione (e che, by the way, sarebbe pure diventato il più titolato della storia della Formula 1), appena rientrato ai box avrebbe detto: “Come avete fatto a perdere il mondiale con un motore del genere?”. ZANZAN.
È quindi per il suo rumore, per quello che rappresenta, per il fatto di essere l’ultimo V12 prodotto dalla Ferrari e per tutto il non detto, non espresso, non vinto, che la frase di Schumacher lascia immaginare, che quel propulsore è davvero una delle cose più densamente intrise di passione su cui sia possibile mettere le mani, oggi, da chiunque ami la Formula 1. Ecco perché è in grado di scatenare una tale sovrapposizione di ricordi la notizia che una di quelle unità sarà messa all’asta, il prossimo 6 Febbraio, da Artcurial. Si tratta, in particolare, di un esemplare proveniente dalla collezione privata di Giuseppe Neri, un amico di Enzo Ferrari. Tre litri, V12 - appunto - con V di 75°, 48 valvole, doppio albero a camme, basamento e teste in lega leggera, è stato accreditato, all’apice dello sviluppo, di una potenza massima di circa 770 CV, a fronte di un peso di soli 135 Kg. Per metterselo in salotto e usarlo come tavolino, però, servirà preparare un assegno: il prezzo stimato per aggiudicarselo è compreso tra i 70 e gli 80.000 Euro. Ma vuoi mettere come suonava?