Diciamoci la verità: essere bambini nell’estate del 1994 non è stato affatto facile. Prima quella finale persa a Pasadena, con Robi Baggio che la spara sulla luna e Baresi in lacrime, poi quel dannatissimo GP di Monza (senza contare cos’era successo a maggio, con Senna e Ratzenberger).
Io, nel 1994, avevo dieci anni, consumavo Autosprint, che mio padre comprava religiosamente ogni martedì, e sognavo di incontrare, un giorno, Jean Alesi (fatto, l’anno scorso, foto ricordo orribile).
In quel 1994 che segnò la vittoria del primo mondiale per Michael Schumacher, le motorizzazioni impiegate in Formula 1 dai team di punta erano tre: il V8 Ford che usava la Benetton; il V10 Renault che muoveva le Williams e il V12 Ferrari, al suo penultimo anno, prima che si decidesse di abbandonarlo in favore di una soluzione a 10 cilindri - scelta a posteriori messa in dubbio dallo stesso Schumacher che, secondo la leggenda, dopo il suo primo test in rosso, avrebbe detto: “Come avete fatto a perdere il mondiale, con un motore così?”.
Ebbene, quel 12 cilindri era la sola speranza a cui ancorarsi, per sognare una vittoria a Monza, dopo anni di magra e, soprattutto, dopo che Berger era riuscito a interrompere il digiuno che continuava dal 1990, sulla velocissima pista di Hockenheim, un circuito dalle caratteristiche analoghe a quello brianzolo, in un periodo in cui le differenze tra i tracciati erano ancora in grado di incidere pesantemente sul possibile risultato.
Non solo, quel 12 cilindri sembrava essere anche la sola componente tecnica in grado di permettere al mio idolo Jean Alesi di conquistare, finalmente, la prima vittoria in carriera. Già perché, nonostante uno sbarco in Formula 1 da Campione di Formula 3000 (quella che allora era la serie propedeutica alla F1, equivalente all’attuale F2), Alesi non era mai riuscito a salire sul gradino più alto del podio in cinque anni di attività, anche se ci era andato incredibilmente vicino, nel 1990, in occasione della prima gara della sua prima stagione da pilota "vero". Quell'anno, infatti, dopo aver ottenuto una Tyrrell tutta sua, sul circuito cittadino di Phoenix, agguantò il suo primo podio in carriera, con un insperato secondo posto ottenuto dopo aver conteso la prima piazza per oltre 30 giri a un certo Ayrton Senna.
In segutio, tuttavia, malgrado un indubbio talento, per anni non si trovò più nelle condizioni affinché una vittoria fosse concretamente a portata di mano. La Formula 1, in questo, è crudele: se non guidi l’auto giusta, nel momento giusto, è davvero molto facile trovarsi a essere parte di un ciclo che vede come unica dominatrice una sola squadra. Dinamiche difficilmente comprensibili da un bambino e in ogni caso estremamente poco avvincenti anche con gli occhi di un adulto, nella stagione che seguiva il mondiale più soporifero ever: quello del titolo di Prost targato Williams, vinto con una superiorità imbarazzante sugli avversari.
Insomma, la magia di Monza, il motore Ferrari, Alesi, l’eroe che lottava contro il sistema: tutto era apparecchiato per una gioia esplosiva, di quelle da bagno nella fontana. E le cose, inizialmente, sembravano essersi messe proprio nella giusta direzione. Alesi, infatti, dominò libere e qualifiche (che allora si svolgevano su due giorni), facendo segnare la sua prima pole position in carriera. Dopo un mega botto in partenza, che non lo vide coinvolto ma che obbligò la direzione gara a sospendere la corsa e a far ripartire tutti, Alesi guadagnò, così, il comando al secondo start, riuscendo ad accumulare oltre dieci secondi di vantaggio, in soli 14 giri. Poi, lo psicodramma.
Jean rientra ai box per il primo pit-stop, ma la vettura non riparte. Problemi al cambio, si disse allora. Auto in panne e ritiro obbligatorio. Altre lacrime, altra rabbia. È così che si diventa adulti?
Di certo è così che, a distanza di ben 26 anni, nel giorno del suo compleanno, ci si ritrova a riflettere sulle gesta di uno dei piloti più amati e al contempo meno vincenti della storia della Formula 1. Jean taglierà, infatti, per primo il traguardo in un GP di Formula 1 soltanto una volta, nel 1995, senza, tuttavia, essere mai scalzato dai cuori dei tifosi italiani, anche negli anni in Benetton, Sauber, Prost e Jordan. Merito, probabilmente, di quella umanità così facilmente palpabile, che lo ha portato nuovamente alla ribalta, nella settimana del suo compleanno. È delle scorse ore, in questo senso, la notizia della decisione di procedere alla vendita dell’F40 di sua proprietà, a sostegno del figlio Giuliano, nel suo percorso di crescita verso la Formula 1. Alesi Senior ha avuto modo di spiegare, a questo proposito, come per consentire al figlio di prendere parte alla prossima stagione, mancassero all’appello 2 milioni di euro: “In famiglia, facciamo le cose con passione, e non c'è paragone tra l'avere una F40 in garage e vedere mio figlio correre. E poi sono troppo vecchio per guidare una F40”.
Ora, ve lo immaginate babbo Michael Jordan dire una cosa del genere? Come si fa a non voler bene a Jean Alesi? Troppo facile avere idoli che stracciano record e segnano a ripetizione. Provate voi ad avere come punto di riferimento Attilio Lombardo, o a tifare l’Inter. Provate voi a girare per il Parco di Monza con una maglietta con la faccia di Alesi e riuscire a farvi fare un autografo solo da Gianni Morbidelli (#truestory). Insomma, come direbbe qualcuno: ci sedemmo dalla parte dei più scarsi visto che tutti gli altri posti erano occupati. E ancora ne portiamo le conseguenze.
Tanti auguri Jean!