Ogni volta che mordo un Mars penso a Diego Armando Maradona. Maradona per me ha quel sapore lì, pastoso, di caramello che ti rimane in bocca e ti si appiccica alle mani. Ce l’aveva scritto sulla maglia celeste del Napoli, Mars. E a distanza di anni quando lo vedo negli scaffali dell’Autogrill il primo pensiero è quello lì: cazzo, Maradona. Anni fa, 2007 credo, vado a Torino a intervistare Marco Boglione. Boglione era ed è l’uomo che ha risollevato marchi come Robe di Kappa, K-way, Superga. Un uomo di cui non sapevo granché. Scopro un pazzo furioso, un uomo di cui racconto ancora oggi, spesso, a volte anche a persone a caso, un visionario che viveva sul tetto della sua azienda in una sorta di casa al contrario.
Al piano inferiore aveva l’appartamento dei suoi bambini, con ogni cosa fatta a misura di bambino, stanze, soffitti, mobili, tutto più piccolo, ridimensionato. Al secondo aveva un loft gigantesco con due costruzioni tipo serra, piene di piante: in una c’era la camera da letto e in una un bagno. Nella camera da letto mi ricordo la cabina armadio, con i calzini sparpagliati, tutti diversi ma tutti in tinta. “Perché la mattina quando mi alzo li voglio prendere a caso”. Poi c’era una sala cinema e poi, al centro, un campo da basket. Infine salivi delle scale e andavi sul terrazzo e qui la sorpresa: c’era un giardino, c’era un orto, c’erano le galline e c’era una mucca. Una mucca sul tetto di Torino. Effetto straniante. “Per avere il latte fresco”. Certo, chiaro, giusto.
Cosa c’entra tutto questo con Diego Armando Maradona? C’entra. Perché nell’intervista Boglione mi racconto della sua storia, bellissima, e un aneddoto. Per il suo cinquantesimo compleanno andò dal suo amico Ciro Ferrara e gli chiese il regalo: passare una notte con Maradona. Ferrara gli rispose: e che problema c’è? Organizzarono la cosa e Maradona arrivò. La serata e la notte andarono come dovevano andare. Talmente bene che Boglione si addormentò esausto da qualche parte del salone. A svegliarlo, di prima mattina, un rumore sordo, continuo, persistente, ritmato. Aprì gli occhi e lo vide. Maradona, in accappatoio, che palleggiava con un pallone da calcio sul parquet, tirava e faceva canestro. Poi riprendeva la palla, palleggiava, cambiava posizione, tirava e faceva canestro. Palleggiava, tirava, canestro. Boglione mi confessò che richiuse gli occhi pensando: ecco, era proprio questo che volevo per il cinquantesimo compleanno. Io osservai il campo da basket e fu come vederlo, Maradona, in accappatoio, che palleggiava: coscia, sinistro, destro, coscia, sinistro e canestro. Puf.
Non l’ho mai visto Maradona. Mai lo vedrò. L’ho immaginato. E tanto mi basta. Mi basta anche una sua frase, anche questa l’ho scritta svariate volte in vari pezzi, usata per sottolineare qual è il mio spirito, quali sono le persone che mi piacciono, qual è la mia visione del mondo: “Se stessi con un vestito bianco a un matrimonio e arrivasse un pallone sporco di fango, lo stopperei di petto senza pensarci”. Ecco perché l’ho adorato senza averlo visto mai, Maradona. Perché ha affrontato la vita così, senza aver detto di no una sola volta. Sua fortuna e sua rovina. Daniele Piovino oggi nella chat che abbiamo in comune ha scritto: “Solo i mediocri condannano senza appello le fragilità dei geni”. Bravo Danie’, l’hai detto meglio di chiunque altro. Non lo faccio da tempo ma oggi mi mangio un Mars. Per sentire ancora meglio, ancora di più, il sapore che ha.
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