L’indiscrezione è stata lanciata dal Corriere della Sera nella notte del 31 gennaio, in un articolo a firma di Daniele Sparisci: Lewis Hamilton sarebbe in procinto di firmare con Ferrari, lasciando il marchio con cui ha costruito una carriera e che, per certi versi, è il primo antagonista del Cavallino. Inizialmente i media parlano di accordo per il 2025, poi qualcuno ritocca al 2024. Difficile, anzi quasi impossibile considerando che la prima gara si correrà tra appena un mese, ma le macchine vanno forte e non c’è motivo di pensare che i contratti non possano fare altrettanto.
La notizia è di quelle grosse, pesanti, ingombranti. Di un accordo Ferrari-Hamilton si parla da anni esattamente come da anni si parla sempre di una Ferrari velocissima nei test invernali per poi scoprire che in gara le cose stanno diversamente. Se da un lato c’è una certa diffidenza, al punto che non ci stupiremmo se alla fine tutto si risolvesse in un nulla di fatto, dall’altra c’è la bruciante curiosità di vedere come andranno le cose.
In Ferrari ci arriva un vegano con un cane vegano: è fantastico. Con tutta quella cultura del ragù, della lasagna, del tortellino e del cappelletto, del brodo di carne e degli insaccati che sono il vero punto di contatto tra l’uomo della strada che va dal salumiere e la Ferrari da corsa che sta appesa sui muri dei negozi. È una roba grossa, di certo storica, anche fosse soltanto in termini di marketing. Ferrari l’ha già avuto l’altro, nonché unico, sette volte campione del mondo, ovvero quel Michael Schumacher che a fine carriera se ne andò in Mercedes.
Serviva un fuoriclasse alla Ferrari? Evidentemente sì. Evidentemente, sia per l’immagine che per i risultati in pista la coppia Sainz-Leclerc non ha funzionato abbastanza bene. Il sospetto è che mancasse concretezza in Ferrari, la voce ferma di un pilota a cui non hai fatto un contratto per fargli un favore, uno che si è concesso scendendo dal piedistallo. Lewis, a differenza di Charles e Carlos, ha uno status da fuoriclasse, da one time in history.
Viene da pensare a cosa avrebbe detto Enzo Ferrari dei completi Bottega Veneta sfoggiati da Lewis nei weekend di gara. E cosa diranno i ferraristi più devoti, ciechi, in parte costretti a ritoccare gli striscioni di qualche anno fa com’era stato con Schumacher a fine anni Novanta, quando piuttosto del tedesco avrebbero affidato la macchina al tastierista degli ABBA.
Chissà come andranno le cose per Charles Leclerc poi, che da predestinato passa - almeno in termini di palmarè s - a seconda guida. Sarà il fu predestinato, costretto a scomparire dietro a un titano in un’involuzione Pirandelliana? Sarà, forse, l’ennesima promessa mai esaudita? Chi lo sa. Di certo Lewis Hamilton ha carisma a sufficienza per farli correre tutti in ufficio i signori di Maranello. Lewis viene da un’organizzazione perfetta, massima espressione dell’ingegneria teutonica, in cui le cose devono funzionare e le strategie livello Playlover Academy del muretto Ferrari non durerebbero tanto con lui. E poi c’è Carlos Sainz, testimone vivente del fatto che se non vieni amato prima o poi te ne devi andare. Non c’è stato mai un amore profondo tra lo spagnolo e Ferrari, se non forse in quei momenti di pura estetica del motorsport, quando Carlos ha vinto sopperendo alle mancanze del mezzo tecnico giocandosi le palle. Dove andrà il figlio d’arte? A casa del padre, quindi in Audi. Non da Andretti di certo, perché la FIA non ha voluto la squadra italoamericana. Piuttosto, dicono, al posto di Lewis Hamilton ci andrà Andrea Kimi Antonelli, nel programma giovani di Mercedes. Insomma, tutto bellissimo.
Per chi vive la Formula 1 esattamente come la dolce carezza che accompagna il sonnellino post prandiale questo Lewis Hamilton è manna dal cielo. Il problema della competizione è monolitico, forse insormontabile: “Lento, non funziona”, come direbbe il Freccero di David Parenzo. Ed è l’unica reazione possibile a una gara di tre ore in cui il culmine dell’eccitazione si verifica nel cambio gomme. Poi arriva quest’uomo vegano, con un cane vegano e un armadio da metropolitana newyorkese, pieno di anelli, odio raccolto e di mondiali vinti che insegna alla Ferrari ad andare forte. Magari non ci riesce, ma questo è il piano. Davanti a innumerevoli promesse, lui arriva con sette certezze. E, finalmente, con un ottimo motivo per tornare a guardare la Formula 1.