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L'allarme di Daniele Novara:
"Bambini in pericolo con i videogames.
Come nel caso di Napoli"

  • di Gianmarco Aimi Gianmarco Aimi

1 ottobre 2020

L'allarme di Daniele Novara: "Bambini in pericolo con i videogames. Come nel caso di Napoli"
È allarme rosso sui bambini, ma non per i macabri rituali social come Jonathan Galindo o la Blue Whale, quanto “perché vengono lasciati troppe ore davanti ai videogiochi”. La denuncia è del noto pedagogista Daniele Novara, che lancia una provocazione: “Durante il lockdown ci siamo occupati più di far uscire i cani che dei bisogni dei nostri ragazzi”

di Gianmarco Aimi Gianmarco Aimi

“Mamma ti amo, ho un uomo incappucciato davanti, non ho tempo”. È il testo dell’sms partito dal cellulare del bambino di 11 anni morto a Napoli nella notte tra lunedì e martedì, precipitato dal balcone di una abitazione al decimo piano di un palazzo signorile a via Mergellina. La procura di Napoli sta indagando per istigazione al suicidio, ed attraverso le procedure protette per l’ascolto dei minori, ha già raccolto i primi verbali.

Alla ricerca di tracce o spunti che aiutino a capire cosa è accaduto e perché, la stampa nazionale è tornata a parlare di macabri giochi che si svolgerebbero sul web o attraverso i social, che prendono il nome di Blue Whale o Jonathan Galindo – e che spingerebbero i giovanissimi ad autolesionismo e persino al suicidio. Siccome volevamo saperne di più, abbiamo chiesto un parere al noto pedagogista Daniele Novara, che ha smentito esistano pratiche del genere e ha invece puntato il dito verso l’uso smodato dei videogames.

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Professore, che idea si è fatto della vicenda di Napoli?

Ho verificato con il mio staff l’attendibilità della notizia e si può dire che è attendibile, ma con un distinguo. Prima di tutto, va smentita la diceria su quest’uomo nero che si aggirerebbe sul web creando nei ragazzini una induzione al suicidio. Si fa il nome di Jonathan Galindo, che non esiste, così come non esisteva la Blu Whale. La questione è, purtroppo, molto più banale da un lato e tragica dall’altro. Parliamo di un bambino di 11 anni che, come racconta la cronaca, era completamente dentro il sistema dei videogiochi. Irretito da un consumo di ore e ore che in pratica non gli permetteva più di connettere il cervello alle funzioni reali della vita.

Quindi è sull’uso dei videogiochi che bisogna spostare l’attenzione?

Le ricerche confermano che dopo due ore davanti a uno schermo il cervello smette di avere la possibilità di sottrarsi al consumo stesso e perde la connessione con il reale. Non si torna più indietro, lo sanno anche i genitori, soprattutto nei preadolescenti non si riesce a farli retrocedere. E durante il lockdown la situazione è peggiorata gravemente.

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In che modo?

È successo di tutto in quel periodo di tempo. In particolare, a causa dei drastici cambiamenti nei ritmi circadiani (il ritmo caratterizzato dal un periodo delle 24 ore). I nostri bambini e ragazzi hanno spesso e volentieri scambiato la notte per il giorno e con la ripresa scolastica fanno ancora più fatica a riadattarsi. È in questo panorama che la questione videogames non viene colta nella sua gravità educativa, perché la popolazione è subissata dalle fake news che spingono al consumo da parte di aziende abbastanza sadiche che, presumibilmente, mettono in giro informazioni false di videogiochi che avrebbero una ricaduta benefica sui più giovani. In più, l’età si sta abbassando, è quindi allarme rosso, ma solo tra noi tecnici e non nell’opinione pubblica o tra i giornalisti.

Da qualche tempo circolano alcuni progetti per introdurre i videogames a scuola, perché sembrerebbe un buon metodo per l’apprendimento. Immagino lei sia contrario.

Spero che siano solo casi isolati. Se qualcuno in maniera eccentrica vuole fare questi esperimenti li faccia. Non si può impedirglielo. Di certo non hanno chiesto un parere agli esperti. Li avrei sconsigliati e l’episodio di Napoli la dice lunga. Vogliamo aspettare qualche altra tragedia? Rischiamo di perdere una generazione di bambini.

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Il nuovo libro di Daniele Novara

Il suo nuovo libro si intitola “I bambini sono sempre gli ultimi”, ma il sottotitolo è ancora più eloquente: “Come le istituzioni si stanno dimenticando del nostro futuro”.

Basta guardare la politica alle ultime elezioni nel 2018, nei programmi dei principali partiti non c’era neanche citata la parola “bambino”. Quindi è logico che quando è arrivata la pandemia si è scatenato il panico, ma in tutto ciò è come se i bambini non fossero previsti. Si è preferito far uscire i cani e non i nostri figli. Si capisce come la metafora di questo episodio sia agghiacciante? Ci segnala come si sia rotto qualcosa. Questi bambini sono invisibili alla politica e anche all’opinione pubblica. Poi è inutile lagnarsi del calo demografico.

Siamo messi così male?

Guardi, nel mio libro segnalo diversi dati eclatanti. Quello più triste è che una donna su quattro in Italia non fa figli. Una proiezione che non esiste a livello mondiale. Se un politico non vuole guardare in faccia la realtà e non preoccuparsi di questo, ma pensare che ci sono solo gli anziani, è libero di farlo, però poi chi lo gestisce il paese? È un cortocircuito quello in atto. Il mio sarà un libro di denuncia e oltre ai numeri sarà corredato da diverse testimonianze.

Cosa si sente di dire ai genitori?

Che i bambini non devono essere invisibili, perché sennò sono in situazione di pericolo. Come quello di Napoli, che è stato lasciato solo davanti ai videogiochi. I bambini bisogna farli crescere, perché hanno il diritto a essere educati e gli adulti devono accorgersi della loro presenza e soprattutto che hanno dei bisogni. Non abbandonateli per ore davanti ai videogames.

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