Maurizio Costanzo è stato insieme classico e modernissimo. Classico perché era il nostro Socrate (al quale, ne sono sempre stato convinto, somigliava anche fisicamente) e le sue interviste erano puro esercizio di arte maieutica: una domanda e veniva fuori – volente o nolente – la “verità” dell’intervistato. Modernissimo perché Costanzo è stato il nostro “social”. Mi riferisco ovviamente al “Maurizio Costanzo Show”, soprattutto quello della seconda metà degli anni ‘80 e dei primi anni ‘90: l’Italia si divideva in chi era stato su quel palco e chi no, e soprattutto da quando si trasferì al Teatro Parioli, su quella celeberrima “passerella” a chiusura di serata che ti significava come chiunque sia esclusivamente come appare, con conseguente “applausometro”, che erano i “like” dell’epoca. Lui, con Franco Bracardi in smoking bianco, che la regia di Paolo Pietrangeli faceva sembrare appollaiato sulle sue spalle come fosse il suo fantasmino, ha fatto, insieme a Renzo Arbore (e pare che il MCS nacque proprio per “infastidire” Arbore), la storia delle “seconde serate” di quegli anni ‘80 dai quali non ci libereremo mai, perché erano seconde serate fatte di idee e di parole, di pensiero. Umberto Eco disse che il Costanzo Show finiva l’epoca della televisione pedagogica e iniziava la “neotelevisione”, ma era di più, era qualcosa che né Eco né Costanzo potevano profetizzare, anche se fu proprio con il MCS che si avverava la profezia di Andy Warhol secondo il quale tutti avrebbero avuto quindici minuti di celebrità: con il Costanzo Show erano nati gli “influencer”, e il suo volere in sala il pubblico e interagire con esso altro non era che il corrispettivo dei “commenti” ai post, in cui vedere in tempo reale cosa “funzionava” e cosa no.
Ne scoprì, portandoli alla ribalta, più di Pippo Baudo, restando, come l’altro, sempre la prima donna. Il modello era David Letterman, con in più l’intuizione che gli ospiti potevano interagire tra loro, farsi da spalla o scazzare. La telerissa nacque lì, non da Gianfranco Funari: da quest’ultimo si litigava su un tema, da Costanzo erano gli ego a litigare, uno contro uno o uno contro tutti: la vecchia storia della magia del palco, vecchia perché vera. Gli editori sbavavano: bastava un passaggio da lui perché i libri finissero in classifica. Era lo show della classe media riflessiva, e temo che contribuì a crearla, per poi esserne, come ogni fondatore che si rispetti, abbandonato. Ovviamente era cattivissimo, gli bastava spostare lo sgabello per abbandonare qualcuno al suo destino. Dava al massimo una seconda chance, ma fu il primo a sovvertire del tutto la regola secondo la quale l’intervistatore deve stare al servizio dell’intervistato: era esattamente il contrario e guai a rubargli la scena. Socrate sposò Santippe, molto più giovane di lui, la descrisse come “la donna con la quale era più difficile andare d’accordo”. Vi ricorda qualcuno? Come Socrate, inventore della maieutica, ci ricordiamo di lui più di tutti quelli che con le sue domande portò al successo. Le serate del Maurizio Costanzo Show erano le “stories”, e lui era Instagram. E come i “social” abbassò via via il suo livello inseguendo i like.