Oggi possiamo contare su ben cinque “grandi fratelli”. Il primo è quello in uscita (output gf), ossia la nostra vita vissuta in diretta social attraverso i post, i video, i reel, i caroselli, i commenti. Il secondo è in entrata (input gf): tutti coloro che ci spiano (sui social, ma anche nella vita, tutti vogliamo essere spiati, persino i latitanti che spesso prendono proprio perché postano). Il terzo è il gossip moderno (input social celebrity), che è un gossip sulle celebrità del tutto differente da quello di un tempo, diverso dal cosiddetto “star system” che era pilotato dalle case di produzioni cinematografiche e dagli uffici stampa; oggi le celebrità vengono colte continuamente, nella vita di tutti i giorni, siamo tutti paparazzi appostati armati di smartphone. Il quarto è il grande fratello istituzionale: quanto preleviamo al bancomat, la posizione gps sullo smartphone, chi ci fa bonifici e a chi li facciamo, la nostra posizione debitoria, le nostre proprietà mobiliari e immobiliare etc etc. Adesso, abbiamo proprio bisogno, ancora, del quinto grande fratello? Il Grande Fratello televisivo?

L’ultima edizione si sta dimostrando un flop e, giustamente, pare che Mediaset stia correndo ai ripari spalmando il GF su tutti i propri canali e contenitori (bisogna pur rendere conto agli inserzionisti – ricordate sempre: se qualcosa è gratuita vuol dire che il prodotto che si sta vendendo sei tu). Senz’altro, i motivi elencati in apertura sono concause di questo insuccesso: spiamo e siamo spiati così tanto che anche basta. Ma c’è qualcosa che sprofonda nei meandri della psiche oramai terraformata da questo “reality” (il reality non è la realtà) continuo nel quale viviamo e che in molti, ancora, non sanno gestire: hanno messo il reality in mano ‘e creature, come si dice. L’atto dello “spiare”, profondamente connesso all’atto del conoscere (anche in senso biblico, quando facciamo sesso non siamo altro che voyeur di noi stessi) brama quella che volgarmente si dice “verità” (che è un errore semantico: la verità ha a che fare con ciò che oltrepassa, con l’al di là, tutto quello che sta “di qua” non è verità ma banale, oscena, stupida, volgare, fastidiosa “realtà” – e infatti si dice “reality” non “verity”) ma che in realtà è la realtà (perdonate la ripetizione ma il mondo è fatto di ripetizioni – è una narrazione seriale – e non vedo perché la grammatica dovrebbe avere regole diverse). Ordunque: si spia per conoscere, per quella voglia di “segreto” che ci spinge a teorizzare dall’esistenza di Dio dietro i misteri della fisica teorica ai complottoni dei poteri forti, dagli accordi delle lobbies per la spartizione economica delle zone di guerra, ai reconditi pensieri di un pizzaiolo siciliano (Salvo, ve lo ricordate?). Bene: si riesce ancora a “spiare” nel senso metafisico del termine quando i nip che entrano nella casa sono già iperpreparati, hanno le loro strategie, si comportano da ufficio stampa di se stessi e in realtà non vivono poiché vivono in reality? Essi sono tutti superficie, in una qualche maniera sono supervestiti, “overdressed” si dice in Inghilterra di coloro che vogliono sfoggiare abiti oltre la naturale funzione di ripararsi dagli agenti atmosferici per comunicare chissà cosa a chissacchì. I nuovi nip non hanno un pensiero complesso da dissimulare e da “scoprire” come in un romanzo giallo (altra manifestazione della passione del “guardonare”). Tutto quello che c’è da vedere lo vediamo di botto, come se ci dicessero subito che è stato il maggiordono. In buona sostanza, l’essenza del Grande Fratello delle origini si è tramutato in uno Spoiler, e nessuno guarda una narrazione già spoilerata. A meno che…

A meno che. Non è del tutto esatto dire che sotto la superficie dell’arrampicamento sociale, dell’aspirazione alla visibilità, dell’esposizione (o sovraesposizione) delle dinamiche atte a diventare “famosi per essere famosi” (“bellissimo”, nel senso di MOW – è una categoria dello Spirito che si acquisisce solo leggendo MOW ogni giorno e ogni tanto telefonando a PISTO). Sotto tutto questo “vestito” non c’è il Niente, non c’è il vuoto esistenziale e la mancanza di senso, come vorrebbero i commentatori che si vogliono lanciare senza paracadute in pose intellettuali non alla loro portata. Qualcosa c’è, altroché se c’è: ed è la paura della morte, della fame, della non riconoscibilità, dell’abbandono, del buio, degli animali feroci (“l’uomo è il predatore più feroce” scrisse il killer dello zodiaco in un suo crittogramma), la paura della piccola fiammiferaia potremmo dire, che è una paura che tutti noi conosciamo. Così, contrariamente alla vulgata che vorrebbe il Grande Fratello come un’intrattenimento “leggero” esso è in “realtà” profondissimo proprio perché “superficiale”. Sapete chi è vicinissimo all’essenza della realtà? Il cavernicolo, i cui bisogni sono un riparo (la casa), il cibo (la visibilità attraverso cui guadagarsi il panuzzo) e il fuoco (le luci del varietà). E sapete quale è la cosa più importante per un cavernicolo? La “superficie”, il proprio corpo: è attraverso il proprio corpo che il cavernicolo sopravvive: se ti cadono i denti muori, se le gambe non sono muscolose per arrampicarti sull’albero da frutto o per inseguire la selvaggina muori, se le braccia non sono abbastanza forti da sfregare la pietra focaia muori. Il cavernicolo è al contempo l’essere più superficiale e profondo che esista. E qui veniamo al punto: ha ancora un senso la narrazione del Grande Fratello laddove si nasconde il centro profondo dell’esistenza di questi umani? Che ce ne frega di questi aspiranti famosi laddove ci nascondono il loro terrore della morte? La famosa “vita per la morte” di Heidegger è il nocciolo fondamentale del Grande Fratello: se ci date soltanto la vita è come se ci deste da leggere soltanto un libro con le pagine pari. E’ per questo che, nonostante il calo di ascolti, il Grande Fratello è destinato a sopravvivere. Le tecniche di sopravvivenza messe in atto fino a questo punto – essere spalmati su tutto il palinsensto per creare ingaggio – si evolveranno, così come l’umano si evolve per sopravvivere. E verso dove può evolversi il Grande Fratello se non verso la narrazione della morte, che abbiamo visto essere costitutiva di questa narrazione? L’horror e la Distopia. I borghesi che si credono ‘normali’ – e che invece stanno soffrendo di una gravissima malattia mentale, chiamata appunto borghesia, che ha tutte le caratteristiche allucinatorie della schizofrenia – non sanno che l’horror e la distopia sono nient’altro che il nuovo realismo, il neoneorealismo. E da una narrazione che vuole raccontare la “realtà”, il “reality”, come non si può chiedere quanto di più “reale” esiste, ossia la morte? La morte violenta: muoriamo tutti assassinati, la morte “naturale” non è nient’altro che un omicidio compiuto da Dio. E’ per questo che il Grande Fratello si evolverà in uno story telling simile agli “Hunger Games”, reality distopico, o a “La lunga marcia”, reality horror – sta per arrivare sugli schermi il film tratto dal romanzo di Stephen King. I concorrenti dovranno morire. Accettare la possibilità della morte. Così come facciamo tutti noi nel momento in cui decidiamo di non impiccarci. Il Grande Fratello, così come è, non serve più a nulla. La più grande forma di intrattenimento è la morte in diretta. “Gaza” non vi dice niente? Non avete capito che si tratta di un reality?
