È partita come un’odissea ecologista su una vecchia nave cargo: oltre tremila automobili, di cui 800 elettriche e quasi 700 ibride, stipate come sardine su una nave liberiana chiamata Morning Midas. Nome non troppo profetico visto che, più che l’oro, in questa storia c’è un sacco di cenere e puzza di lamiera bruciata. L’incendio è scoppiato a 480 km dalle Isole Aleutine e da allora la nave continua a fumare come un comizio anni ’50. Secondo gli ultimi aggiornamenti a bordo non c’è più nessuno, l’equipaggio di 22 persone è stato tratto in salvo, ma la nave è ancora lì, in mezzo al Pacifico, a ribollire sotto la linea di galleggiamento come una pentola a pressione carica di litio. Perché qui non stiamo parlando di vecchie Fiat Uno a benzina: sono batterie agli ioni di litio, quelle meraviglie moderne che ci fanno sentire tutti un po’ più Greta, ma che quando vanno a fuoco neanche i pompieri vogliono più scendere dalla scialuppa. Un rogo su una nave carica di batterie è come trovarsi chiusi in un magazzino di petardi con una torcia accesa. Il fuoco si spegne? Sì, ma anche no. Può riaccendersi ore o giorni dopo, senza preavviso. Nel frattempo, la Midas continua a rilasciare fumo da un ponte che – secondo le ricostruzioni – ospitava proprio le auto elettriche. E a bordo ci sono ancora 1.530 tonnellate di olio combustibile. Non è chiaro se la causa dell’incendio sia direttamente legata a quelle auto, ma quel che è certo è che se ad essere interessate dalle fiamme sono state anche le auto con batterie al litio, l’incendio potrebbe durare di più e scaricare nell’atmosfera ancora più anidride carbonica. Una combinazione che fa rima con disastro ambientale.

E allora sì, il parallelo è d’obbligo: Felicity Ace, 2022, affondata con un carico da mezzo miliardo tra Porsche, Audi, Bentley e Lamborghini. Bruciò per due settimane, poi andò a fondo con le sue supercar e con l’ego dell’intera industria navale. Ma nulla è cambiato. Anzi, oggi le navi sono più cariche, le batterie più grandi e i rischi più taciuti. Hyundai, almeno, ci ha provato: ha installato su 32 navi un sistema che buca le batterie e ci spara dentro acqua ad alta pressione. Tipo idromassaggio per esplosivi. Ma la verità è che l’intero settore si sta muovendo come un sonnambulo sopra una miniera. Le navi sono vecchie, costruite per motori a scoppio, e oggi trasportano materiali che, una volta accesi, non si spengono con la retromarcia. Intanto, tra una conferenza sul green e un pannello solare in showroom, le compagnie fingono stupore. Ma il punto è chiaro: il litio non perdona, soprattutto se lo chiudi in una stiva con altri 3.000 fratelli e lo fai navigare per settimane. Il futuro elettrico ci seduce, ma per ora prende fuoco. E nel Pacifico, oggi, si combatte con fiamme che nessuno sa spegnere davvero. Altro che rivoluzione verde. Qui serve l’estintore — e una buona dose di riprogrammazione.
