Ma quante domande sul caso Poggi, quanti dubbi reali, quanti dettagli (o bufale?) continuano a occupare articoli, media e quant’altro? Tra presunte rivelazioni e scoperte, alla fine bisognerebbe chiedersi come stanno i genitori e la famiglia della vittima. I quali in più occasioni hanno manifestato il loro disappunto su come il caso, riaperto a distanza di oltre dieci anni, venga raccontato. Un aspetto, questo, su cui ha riflettuto il giornalista Antonio Polito in un video pubblicato sul Corriere. Quando la Procura di Pavia ha riaperto l’inchiesta sul delitto di Garlasco, consumatosi nel lontano 2007, “abbiamo avvertito come tanti altri il rischio di rovinare la vita a un innocente, Andrea Sempio, il nuovo indagato, o di averla rovinata ad Alberto Stasi”, afferma Polito. Forse però c'è una cosa che nessuno poteva aspettarsi. “Non avremmo mai immaginato che questa inchiesta e l’uso a dir poco disinvolto che ne stanno facendo i media si sarebbe ritorta contro la stessa vittima, infangandone la memoria e contro la sua famiglia sconvolta dal flusso incontrollato di insinuazioni, allusioni sulla vita di Chiara spesso basate su rivelazioni che tali non sono, su nuove prove di fatto inesistenti e frugando anche nelle comunicazioni private della vittima”.

Del resto, le parole del giornalista pare vogliano arrivare proprio a chi questo dolore lo ha visto da vicino, e si trova a distanza di tempo a dover gestire di nuovo l’attenzione dei media su un caso che continua a scuotere l'opinione pubblica. “La signora Rita (madre di Chiara Poggi, ndr) ha confessato a Giusi Fasano sul Corriere il suo disgusto per tutti questi presunti misteri, gialli riciclati dal passato o spacciati ex novo. La borsetta di Chiara rubata per esempio, che invece è sempre stata a casa dei Poggi, o l’interesse morboso che Chiara avrebbe mostrato nei confronti dello scandalo sessuale del santuario della Bozzola, che in realtà è scoppiato sette anni dopo la morte della ragazza”, sostiene Polito. Nel vortice mediatico che ha riaperto ferite mai davvero rimarginate, le bufale abbonderebbero. “L’impronta insanguinata sulle scale. Come si fa a dire che c’è del sangue da una fotografia? Visto che il materiale biologico è già stato analizzato e consumato nell’inchiesta di 18 anni fa. Oppure il super testimone che rivela ciò che le ha detto in un bar una signora nel frattempo morta”. Insomma, dalle parole del giornalista emerge chiaramente il bisogno di uno sforzo collettivo, nel creare uno spazio di riflessione che riguarda il giornalismo stesso e la sua responsabilità sociale: “Fatto salvo il diritto di cronaca, noi giornalisti dovremmo quantomeno astenerci dal diffondere storie palesemente false. Altrimenti si corre il rischio di creare un clamoroso caso di vittimizzazione secondaria, in cui la vittima viene uccisa una seconda volta”. Un monito che suona come un atto di coscienza. Perché oltre la notizia, ci sono le persone. E Chiara Poggi, prima di essere un “caso”, era una ragazza. Una figlia. Una vita.
