È in una posizione scomoda, ha un atteggiamento ambiguo, eppure il mondo che cerca un mediatore nel conflitto russo-ucraino guarda ancora alla Cina, “perché né l’Europa né gli Stati Uniti sono in condizione per farlo. Certo quali mediatori hanno cercato di inserirsi Israele e Turchia, sebbene quest’ultimo non sia un Paese terzo, ma la Cina viene vista ancora come capace di fare la differenza”: Eleonora Zocca, giornalista attenta alla quotidianità, agli esteri e alle mosse cinesi sullo scacchiere geopolitico, analizza per MOW il peso di Pechino quale possibile risolutore di un conflitto che sta paralizzando l’Europa.
Accusata di fiancheggiare la Russia, in ottimi rapporti con l’Ucraina prima dell’aggressione, chiamata in causa quale mediatrice: come si colloca la Cina in questo scenario?
La Cina si trova oggi in una zona grigia nella quale non vorrebbe trovarsi. La Cina è infastidita dal conflitto e dalla destabilizzazione che questo ha provocato non solo in Ucraina, Russia e Occidente, ma anche nel Sud-Est del Pacifico e che cambia gli equilibri internazionali.
Un passo indietro: un mese fa, il 4 febbraio, Putin a Pechino incontra Xi Jinping.
Russia e Cina quel giorno hanno firmato un documento congiunto che sancisce quella che è stata definita “amicizia senza limiti”, basata sul coordinamento in politica estera, sulla difesa degli interessi comuni, sull’aumento della cooperazione contro le azioni di forze esterne e sull’opposizione all’allargamento della Nato. Chiaramente si tratta di un’alleanza strategica in chiave anti-atlantica.
Come erano i rapporti della Cina con l’Ucraina prima del conflitto?
I rapporti erano stabili. Addirittura alcuni giorni prima dell’aggressione le parti avevano festeggiato i 30 anni di relazioni diplomatiche, Zelensky e Xi Jinping si erano scambiati messaggi augurali in merito. Anche da questo precedente nasce probabilmente la richiesta di Zelensky per una mediazione.
Il grande dubbio: la Cina sapeva in anticipo dell’invasione?
Il New York Times ha scritto che, secondo un report di intelligence statunitensi, sarebbero stati gli stessi funzionari cinesi a chiedere ai russi di attendere la fine dell’Olimpiade, ma nello stesso articolo si citano diverse interpretazioni e non è chiaro fino a che livello sia stata condivisa l’informazione sul piano di invasione. Se avessimo certezze in merito sarebbe più facile prevedere la posizione della Cina in tema di mediazione. Il ministro degli esteri cinese Wang Yi ha confermato comunque che la Cina vuole mediare.
La Cina si è mai trovata in un ruolo di mediatore in condizioni simili in passato?
C’è chi sostiene che si sia trovata in situazioni simili in Afghanistan e con la Corea del Nord, ma si tratta di situazioni a mio avviso diverse. In questi termini per la Cina si tratta di un ruolo completamente nuovo.
Come trattano i media cinesi - non esattamente liberi - la guerra?
Per quanto ho letto e visto la stampa cinese sta evitando di trasmettere immagini che mostrino la guerra, e del resto la parola “guerra” non viene usata. Non si mostrano le bombe sulle città, le foto con morti civili né tutte quelle immagini che da noi sono normali. Nei primi giorni sui principali quotidiani la guerra nemmeno esisteva e, ancora oggi, la tv di Stato, Cctv, ne tratta solo nei minuti finali dei notiziari e lo fa in maniera marginale, con tagli più freddi e più neutrali, ad esempio parlando delle ripercussioni economiche. Da un lato non può evitare la questione, dall’altro non può dare fastidio a Mosca. Sui social come Weibo e WeChat, nonostante la censura sia molto presente e molto forte, in questo caso invece non è stata troppo limitante.
A proposito di ripercussioni: le sanzioni alla Russia possono in qualche modo favorire la Cina?
Non direi. Se la Cina aiutasse troppo Mosca poi si ritroverebbe fuori dai circuiti occidentali e ci sarebbero ripercussioni su Pechino. Si pensi allo Swift: secondo un’analisi di una delle testate più libere, Caixin, il circuito parallelo cinese, per come è ora, non riuscirebbe a soppiantarlo. Ma poi c’è un’altra questione che non piace alla Cina dal punto di vista economico: se si considera il progetto della nuova Via della seta, che nell’idea di Pechino avrebbe avuto quale hub logistico europeo la Polonia, avere un’Ucraina disastrata impedirebbe alla Cina di finalizzare il progetto, considerando che l’Ucraina è la porta d’accesso per l’Europa e di conseguenza per la Polonia.
La Cina ha approfittato della situazione per mandare un messaggio a Taiwan: come gli Stati Uniti non aiutano l’Ucraina, così sarà anche per Taipei. Si tratta solo di uno stratagemma dialettico?
Taiwan è strategica per gli Stati Uniti per la sua posizione geopolitica che fa da cuscinetto per tutti gli scambi nel Pacifico meridionale e per le vie di accesso marittimo al Giappone e soprattutto perché detiene la metà del mercato dei semiconduttori: gli Usa non possono permettersi di perdere un alleato simile, pertanto il messaggio veicolato dalla Cina non è vero, perché gli Stati Uniti interverrebbero. Tra l’altro c’è anche il Taiwan Relations Act del 1979 che lega gli Stati Uniti a Taiwan e li obbliga al sostegno delle forze di autodifesa di Taipei, senza contare che in questi giorni una delegazione statunitense è stata inviata a Taipei per incontrare la presidente Tsai Ing-wen e rimarcare il fatto che gli Usa non abbandonerebbero Taiwan se la Cina decidesse di invadere l’isola.
Una prospettiva possibile?
Credo che a medio-breve termine sia da escludere, anche per questioni strategiche: l’esercito cinese non è l’esercito russo e, sebbene sia stato aumentato il budget militare, non sarebbe ancora in grado di portare a termine un’operazione simile, soprattutto non essendoci contiguità territoriale tra Cina e Taiwan.