Ma è una impressione mia o oramai per fare l’intellettuale engagée, adesso, devi vestirti con i jeans cinesi, le sneakers (possibilmente nere) con un logo (cinese) sbrilluccicante, t-shirt sintetica aderentissima con un qualche dragone stampato dietro in colori improbabili, borsello (come evoluzione del marsupio) e guidare una vespa 50 special (vintage) con il motore “portato forte”, tipo pezzi 90, carburatore 32, campana 90, marmitta Polini, ed essere uguale, insomma a uno scippatore? No perché mi sembra che il “circolino” intellettuale, da un po’ di tempo, abbia adottato questo look, da scippatore.
E chi scippano? Ci arriviamo. Partiamo da qualche giorno fa. Alessandro Baricco, su Substack, pubblica un testo di pubblico dominio intitolato, semplicemente, “Gaza”. Sia la scelta di Substack che quella del pubblico dominio sono rappresentative, una rappresentatività sia formale che sostanziale, dell’argomento discusso nel testo: i giovani tra i 15 e i 25 anni. Per chi se lo fosse perso, Baricco parlava di una “falda” che la parola “Gaza” ha aperto tra il vecchio modo di pensare, che Baricco identifica come il pensiero occidentale novecentesco, e un nuovo continente del pensiero ancora tutto da esplorare. Adesso. Alessandro Baricco ha 67 anni, ma possiede una sorta di giovinezza del pensiero, una “forza”, una “volontà”, che con gli anni invece di solito scemano (nel senso anche di “scemunirsi”) e che portano i pensatori a ripetere all’infinito le proprie opinioni, senza cambiarle di una virgola, campando di rendita: è il modello dei professori universitari che riscrivono sempre la stessa tesi (o la fanno scrivere ai propri assistenti) causa di un obbligo di pubblicazione. Bene, Baricco non mi sembra seguire affatto questo modello. Avrebbe potuto pubblicare il suo testo ovunque, su Repubblica probabilmente, ma ha scelto di farlo su una piattaforma digitale, rilasciandolo gratuitamente e chiedendo di farlo girare e di tradurlo. E questo già vuol dire parecchio, in un mondo, quello intellettuoso, avvoltolato su se stesso e che si parla addosso spesso producendo, al posto di comprensione e illuminazione, addensamenti biancastri e gessosi di saliva agli angoli della bocca. Ci si aspettava insomma (e credo per primo se lo aspettasse il Baricco medesimo) l’apertura di un dibattito tra i ragazzi dai 15 ai 25 anni, un po’ come avvenne nel movimento no global del 1999 dove i giovani avevano testi di riferimento (No Logo di Naomi Klein, innanzitutto), ma anche molta letteratura cyberpunk, compresi gli antesignani (da Orwell a Ballard). E invece…

Non ci aspettavamo questo improvviso cambio di look a Repubblica. A commentare “Gaza” di Baricco, un testo per certi versi rock, o forse nu-rock, un po’ crossover (avete presente la colonna sonora dei film Matrix o Strange Days?) chi hanno interpellato a Repubblica? Tre “scippatori” (tre, fino al momento, ma le cose possono peggiorare). E chi sono questi teppistelli delle strade, questi impennatori folli delle piazze, questi lesti di mano pronti a scippare non più le vecchiette della loro pensione ma i ragazzi delle loro idee (e dei loro zainetti)? Corrado Augias, che davvero a vederlo coi jeans a vita bassa, però larghi in fondo, tutti belli stretti che poi gli viene l’orchite, è tutto un dire, per non parlare di quella magliettina aderente sintetica elasticizzata che si intravedono le minnuzze pendule, mentre, giuro, scrive: “La tecnica senza etica è la vera novità di questo secolo” e qualcuno, per favore, gli ricordi, magari urlandoglielo nelle orecchie se ha dimenticato di accendere l’apparecchietto, che il secolo scorso CORRADO HA PRODOTTO LA BOMBA ATOMICA, NO CORRADO... NON I FAGIOLI CON LA COTICA… L’ATOMICAAA! (Leggere Emanuele Severino per ragionamenti sulla “tecnica”).

Stefano Massini (jeans supeslimfit astringenti modello “si vede che me le stanno strizzando, tranquilli adesso le strizzo anche a voi”, maglietta del PSG, borsello Gucci) che me lo immagino già all’asilo rompere le merendine ai compagni con monologhi pallosissimi mentre quelli vogliono solo colorarsi la faccia e fare impazzire la maestra e che attacca la sua riflessione, sulle altre riflessioni, sullo stesso giornale, con le parole: “cogliendo in pieno con il loro dialogo illuminante l’urgenza collettiva di tracciare un perimetro”, che sembra un quadro che Salvador Dalì avrebbe potuto dipingere, intitolandolo “Ritratto di autore autoleccaculizzandosi dalle lingue del proprio circolino” (cit. da “Giovane vergine autosodomizzate dalle corna della propria castità”) a tal punto che, giuro, vi ricordate Nanni Moretti in “Io sono un autarchico” al quale colava vomito verde dalla bocca? Ecco: più o meno, come si dice, io così.

E poteva mancare Michele Serra (tuta acetata Adidas, sneakers rialzate Nike, maglietta Louis Vitton con il logo ripetuto all’infinito) a bordo di un vespone 125 primavera con gli adesivi di Guè e di Fabio Rovazzi, manopole fluorescenti, spalliera nel sellino con altoparlanti supersubwoofer che si avvicina quatto quatto a un diciannovenne di Voghera, e che afferma: “Non si centra il target se ci si perde in domande inutili, tipo: la vita di un palestinese povero vale quanto quella di un bianco ricco?” e infatti non se la pone, diffidando della “rivoluzione digitale” perché ci sono i tecnocrati, che è come dire che non bisogna fidarsi della giustizia sociale perché ci sono le ingiustizie. Ah, dimenticavo. Se vuoi leggere il dibattito sul testo lanciato da Alessandro Baricco su Substack gratuitamente, devi acquistare La Repubblica o sottoscrivere l’abbonamento su Web (ettecredo che non si fidano della rivoluzione digitale, ‘sti scippatori all’antica).
