Non si riesce a capire, perché a Concita De Gregorio, a La Repubblica, non ci vogliono bene? E’ una cosa che strazia il cuore. Non ci si capacita di come le calino i pezzi in pagina senza neanche una letturina veloce veloce. Ma come, hai tra le mani un pezzo di Concita che per qualche minuto sarà tutto tuo, solo tuo, e tu non te lo coccoli, non mandi i bacini baciuzzi allo schermo, non approfitti di questa solitaria intimità? No, lo prendi e lo schiaffi in pagina senza delicatezza. No, perché se non fosse così si sarebbe evitata la castroneria dell’ “Invece Concita” sulla strage di Castel d’Azzano, nella quale hanno perso la vita tre carabinieri (ai funerali ci sarà Sergio Mattarella) e dove i feriti sono stati 17. L’articolo di Concy si intitola: “Disperazione visibile a tutti ma ignorata”. L’articolo sembra scritto da una signora per bene, indaffaratina nelle sue faccende mattutine, magari con Vogue e Vanity Fair sottobraccio, che entra nel bar per un cappuccino veloce veloce, e commenta con uno: “E lo Stato assente” e poi se ne va. E lascia tutti così. Senza poter dire: “Ma guardi signora che…”.

Nella rubrichessa, dopo le reazioni istintive, di quelle cose che ti escono di bocca quando stai parlando con degli sconosciuti. La signora Cecioni, dopo le bucoliche descrizioni un po’ da vicina pettegola, “avevano montato un faro nel campo per accudire le mucche di notte, vivevano di quel latte” (che adesso uno, le mucche, le deve accudire quando decide Concita De Gregorio, oppure, se si bevono il lattuccio delle mucchine devono essere esposti al pubblico ludibrio in una rubrica così seguita ed elegante, che vergogna signora sua), chiude il suo pensiero con queste parole scolpite su Cosmopolitan: “La domanda è. (Parentesi: notare quel punto come si punta maestoso sull’ “è”. La domanda è. Si vede subito che la domanda è perentoria. Sentiamo quasi la punta dello scarpino tamburellare nervosa sul parquet. Ciusa parentesi. Punto). Come è possibile che in una condizione di disagio così estrema e a tutti nota non sia intervenuto nessun servizio a loro sostegno, ascolto. Come è possibile che nessuno abbia visto quella disperazione, creduto alle loro parole”. Adesso, prima di commentare la chiusa nella sostanza, la vorremmo commentare, ammirati, nella forma. Ma avete notato come la perentorietà viene sottolineata dalla disintegrazione dei punti interrogativi? Dice: è una domanda retorica. Ma come retorica. Se fosse retorica non attenderebbe risposta, e Invece (Concita) mi pare proprio che la domanda, ma che dico domanda, la denuncia, lo scandalo, l’indignazione somma una risposta la esigono, e giustamente, la pretendano, e vorrei vedere! (Punto esclamativo). Soltanto che tutto parte da un assunto sbagliato, ossia che non si sia fatto niente, quando invece, in paese, praticamente tutti si erano occupati dei Ramponi: i servizi sociali, il medico di base, un zio prete (che quindi vale doppio, e come parente e come prete). Il comune aveva loro trovato anche una sistemazione, un casolare in montagna completo di campo per gli animali. Mammagari tutti gli sfrattati, pignorati, ufficiali giudiziati e giustiziati avessero intorno una comunità del genere! No, non stiamo facendo ironia su una tragedia, stiamo al contrario dicendo che se di una tragedia si deve proprio scrivere almeno che ci si informi. E poi, questo tono giudicante, che così tanto ricorda l’amato Tom Wolfe del Falò delle Vanità laddove raccontava di un titolo di un quotidiano: “Scotenna la nonna. Poi la deruba”, commentando: “se avesse avuto ancora un po’ di spazio avrebbe aggiunto ‘e poi lascia tutte le luci della cucina accese’”. Come il faro del campo di notte. Minchia uguale.
