È morto schiacciato come un insetto. Quella che vi raccontiamo oggi è la storia del freelance Antonio Russo, inviato di Radio Radicale, assassinato il 16 ottobre del 2000. Antonio stava documentando col suo lavoro la guerra. “Da diversi mesi Antonio Russo era impegnato in Cecenia da dove, muovendosi nei luoghi più caldi del fronte, inviava filmati e corrispondenze radiofoniche a Radio Radicale. Il materiale trasmesso gettava parecchie ombre sul modo di condurre la guerra da parte dei russi, non ultimo il probabile uso di armi chimiche”, così si legge sul sito della Fondazione a lui dedicata e voluta dalla madre Beatrice Russo. Il suo corpo senza vita è stato ritrovato da un poliziotto in pensione in Georgia, a 25 chilometri da Tbilisi. Sul corpo di Antonio apparentemente nessun segno di violenza, e sarà l’autopsia a svelare “che sulla cassa toracica è stata esercitata una pressione così forte da rompergli lo sterno e quattro costole che gli hanno perforato un polmone, causandogli un’emorragia interna mortale”. Intanto dal suo appartamento spariscono sia il materiale raccolto durante il suo soggiorno in Georgia sia gli strumenti del suo lavoro: si tratta di un telefono satellitare e un computer portatile”. La colpa di Antonio è stata quella di essere un giornalista scomodo, il primo ad essersi messo contro Vladimir Putin, scoprendo e raccontando gli orrori che la Russia stava compiendo in Cecenia. Russo aveva 44 anni ed era abruzzese. Nel 2000, da alcuni mesi seguiva, con le sue corrispondenze, gli sviluppi del conflitto ceceno: conflitto iniziato nell’agosto del 1999 dall’esercito della Federazione russa che puntava ad ottenere il controllo dei territori conquistati dai separatisti.

Pochi giorni prima di essere torturato e ucciso, Antonio Russo aveva detto a sua madre Beatrice che a breve avrebbe pubblicato uno scoop. Ma non ci è riuscito, perché lo hanno tacitato con la morte. Sull’esecuzione di Antonio sono state avviate due inchieste giudiziarie, una in Georgia e l’altra in Italia, ma non sono stati individuati i colpevoli. Quello che rimane oggi di Antonio, a distanza di 25 anni dalla sua morte, è il ricordo e la sensazione di amarezza e impotenza di chi per il dovere di informare ha pagato con la vita. Russo era nato a Chieti il 3 giugno del 1960. Dopo gli studi universitari, ha iniziato la sua carriera negli anni Novanta. È allora che realizza il suo primo servizio, un reportage dalla Siberia. Da inviato di Radio Radicale segue le vicende più delicate e oscure nelle zone più calde del mondo. Si reca in Algeria durante gli anni dei massacri integralisti, in Burundi e Ruanda per documentare la guerra tra hutu e tutsi e il dramma dei profughi, in Colombia, in Ucraina, in Kosovo e, infine, in Cecenia. Nel marzo del 1999 si impone sulla scena del giornalismo non solo nazionale ma a livello internazionale nel corso della guerra in Kosovo. Infatti Antonio allora è l’unico giornalista occidentale a non lasciare la città di Pristina assediata dai bombardamenti della Nato. È lui a darne conto in diretta. Con il suo telefono satellitare racconta l’esodo dei profughi che tentano di sfuggire all’assedio. Prima il giornalista italiano Antonio, poi Anna Politkovskaja, giornalista e scrittrice russo-americana, nata il 30 agosto 1958 e morta il 7 ottobre 2006, uccisa in un agguato a Mosca. Anche lei raccontava gli orrori che si perpetravano in Cecenia. Anna stava rientrando a casa e mentre aspettava l’ascensore il killer l’ha freddata con quattro colpi di pistola. È morta nel giorno del compleanno di Putin, il 7 ottobre, e si sa che la giornalista stava per pubblicare, proprio il giorno in cui è stata uccisa, un articolo dettagliato sulle torture commesse dalle forze di sicurezza cecene legate al Primo Ministro Ramsan Kadyrov. Con il suo lavoro Antonio Russo ottiene anche importanti riconoscimenti e premi giornalistici. Ma ha pagato con la vita, proprio come Anna, la sua ricerca di verità e giustizia. Quel che rimane oggi è la professionalità e la determinazione di raccontare le ingiustizie, un esempio per tutti coloro che fanno questo mestiere con dignità.

