C'è uno sputtanamento per te. Sta lì da qualche parte, in una cloud di Fantozzi che ti riguarda ma di cui non hai password né controllo. Non ce l'hai tu così come non ce l'ha nessuno. Perché si tratta di deposito open source e lo può rintracciare chiunque tranne te. Che nemmeno ricordi quello che ci hai fatto confluire e tornerai a averne coscienza quando qualcuno si incaricherà di estrarre per te la pepita. Sei stato tu a alimentare quel deposito con parole, opere, omissioni e nessun pensiero – ché se davvero ci avessi pensato un attimo, magari in certe situazioni non ti ci saresti andato a cacciare. E quando poi te le vedi scaraventare addosso come schegge di un'esplosione distante, soltanto allora comprendi tutta la tua inaccortezza. Perché la verità ultima è che se c'è uno sputtanamento per te, il vero sputtanamento di te sei tu. Sei uno spot ambulante del Quinto Emendamento alla Costituzione Usa: qualsiasi cosa dici (e fai) può essere usata contro di te. Sàllo.
E in effetti ormai dovresti saperlo che nell'epoca dei social, degli smartphone, delle telecamere di videosorveglianza ogni manciata di metri, dei Google Glass prossimi venturi, è pressoché impossibile che ogni singolo tuo atto non venga immagazzinato e repertoriato. Ma tu niente. Ti metti a fare l'opinionista a briglia sciolta su Twitter, esibisci una discutibile estetica su Instagram e fai pure il bimbominkia tardone su Tik Tok. Pretendi poi di non pagare dazio? E come vorresti evitarlo, se hai messo le tue gesta dentro un deposito passivo che matura interessi a strozzo? Prima o poi quegli interessi vanno saldati, ma puoi giurare che avverrà quando meno te lo aspetti.
È così che funziona la fenomenologia dello sputtanamento. Ti si può presentare a qualche anno di distanza e con più reperti, come è successo all'ex calciatore ora dirigente che fa il trenino e strizza poppe come dovessero fischiare al passaggio a livello. Ma può essere una cosa immediata come è accaduto al tifoso che dalla tribuna litiga con l'allenatore avversario e per poco non gli tira una manata. Può essere un remoto commento politico rilasciato su Facebook e riesumato da pazienti cercatori di tartufi che vi manda in aria la candidatura al Parlamento, ma anche un improvvido vocale di Whatsapp della settimana prima che sta circolando per ogni angolo del Paese. Ma qualunque cosa sia, si torna sempre al punto: responsabilità tua, fine della storia.
Ma sì che lo sai, ovvìa. Un po' perché lo hai visto accadere a altri, e un po' perché ci sei già incappato e dunque sei recidivo. Sei un pre-cog della colpevolezza, consapevole che da qualche parte una o più tracce delle tue fesserie viaggiano brade in attesa di essere intercettate. E che quando infine sta per accadere, quando sai che la ghigliottina dello sputtanamento sta per essere azionata contro di te, non stai a chiederti “come mi difendo dalla mia cazzata?”, ma “da quale delle mie cazzate devo difendermi?”.