FABRIZIO CORONA, IL MOSÈ DELLO SPETTACOLO CON I DUE TABLET DELLE LEGGI – LE RADICI “CLASSICHE”: SHAKESPEARE, IL “CUNTO” SICILIANO E IL ROMANZO CORTESE
Fabrizio Corona e il suo Falsissimo, inutile girarci intorno, è la New Best Thing dell’informazione, o della comunicazione, o dell’intrattenimento, o dell’approfondimento, o forse di tutte queste cose insieme. È un fenomeno nuovo e ancora da capire. Per questo ci appropinquiamo ad abbozzare una “Fenomenologia di Fabrizio Corona”. Innanzitutto, come tutte le cose che – come si dice – “funzionano”, è fatta di elementi “classici”: modernizzati, contemporaneizzati, velocizzati, mixati e quant’altro.
Partiamo dalle origini: il papà di Fabrizio Corona era un giornalista eccelso, e Fabrizio ne ha ereditato non solo il fiuto della notizia (quando il fiuto è di razza arriva a crearla, la notizia, laddove prima neanche c’era), ma anche il cosiddetto POV, the point of view, il punto di vista, che nell’era di questa comunicazione social e autofictional è strutturale e costitutiva: fondante. Oggi una notizia non è tale se non è filtrata da chi la racconta; i fatti non accadono più, resta soltanto la maniera di raccontarli. Il che, a una prima impressione, parrebbe il frutto della rivoluzione digitale, ma non è altro che l’essenza stessa dell’informazione, che in fondo è narrazione.
Fabrizio, signori miei, è innanzitutto un Cantastorie. Da buon siciliano verace, da catanese con la nnocca (con il fiocco), egli è un maestro del cunto. Le clip (oddio, ho detto “clip”, come mi sento vecchio), i reel, le storie che precedono le puntate sono presentate alla maniera del cantastorie che si esibiva in piazza, con tutto l’armamentario di promesse e scandali, di storie avvincenti e di “mai detto”: voi lo vedete con la maglietta nera, i pantaloni neri, lo sfondo nero, ma sotto questo minimalismo ci sono mazze e birilli, friscaletti e bummuli. “Venite, siore e siore, accorrete, portatevi una seggia, annacatevi o non troverete posto! Il cuntu sta per cominciare! E vi diremo cosa ha fatto la bella Angelica Ferragni, e vi narreremo la lotta feroce di Orlando Lucia e Rinaldo Effe. E cosa dire della sanguinosa storia della Chiara, baronessa di Carini e di Garlasco, il cui sangue vermiglio si spandeva sulla sua virginea sottana? Cosa si agita dietro le quinte dello spettacolo che chiamiamo vita?”.
Perché anche questo è Fabrizio Corona, e mi tremano i diti (al maschile) al solo scriverlo: Fabrizio Corona ha un qualcosa di William Shakespeare. E sì. Storie d’amore, di sesso, di sangue, di tradimenti, di soldi, di potere, di villaggi sperduti nella Scandinavia come nella Lomellina, o nello splendore infido delle corti regali del “circolino”. Che meraviglia! Perché, se il cunto funzionava, se il paese fremeva all’arrivo del cantastorie, se le ragazze si imbellettavano per correre all’evento e le mamme speranzose dispensavano consigli su come trovare marito durante questa messa laica che era il racconto orale (e l’orale, signori miei, serve per trovare marito, uh se serve!), ecco, dicevamo, se il cunto e il cantastorie imbrividavano il paese era perché alla romanza si rifacevano, alla Corte di Re Artù, dove le cortigiane passavano dal saluto romano al saluto del membro, come diceva, nel sedicesimo secolo, un noto leguleo frequentatore di torbide osterie.
Ma non si finisce quivi, con le origini nobili del linguaggio coronesco, perché a loro volta i cunti cortesi (da corte, mica gentili, ché poi era sempre un “futti futti che Dio perdona tutti”) dalla tradizione orale derivavano, e quindi dal cunto. Il cunto: l’origine di ogni cosa, di ogni fatto, di ogni notizia. In principio era il cunto. Fabrizio Corona è il Mosè che tiene in mano i due tablet delle Leggi dello spettacolo. E non sto scherzando.

UN CLASSICO CONTEMPORANEO: LA STREET UP COMEDY
Passiamo alle similitudini più recenti e individuiamo i riferimenti della struttura drammaturgica di Fabrizio Corona nella contemporaneità (ma esiste davvero la contemporaneità?). Innanzitutto, l’avrete presente quel giornalino di carta pulp che stava discinto sui tavolini dei barbieri: Cronaca Vera, con i suoi titoli che gli impreparati giornalisti odierni, un po’ engagée, un po’ demodé, un po’ rompipallé, chiamerebbero “scandalistici”.
“Scotenna la nonna, poi la deruba, e lascia tutte le luci della cucina accese” (questa è una citazione colta). “La moglie viziosa dell’imprenditore famoso prima ha un rapporto sessuale sadomaso con il parroco del paese e poi fugge con la cassetta dell’elemosina. Il paese sconvolto: nessuno sapeva fosse cleptomane”.
Insomma, capolavori del genere. E su Cronaca Vera, Fabrizio ci corregga se non è vero, ci siamo formati tutti, noi depravati della notizia che diventa letteratura, o della letteratura che diventa notizia.
Dunque, primo elemento: Cronaca Vera.
Secondo elemento: la Stand-Up Comedy americana, quella capace di pescare nel torbido, quella di Richard Pryor (che, strafatto di crack, un giorno si diede fuoco e poi portò tutto in scena in quella che è stata definita la Divina Commedia della stand up: Live in Sunset Strip), l’Eddie Murphy in completo di pelle rossa del primo periodo, Dave Chappelle. Mi vengono in mente quasi tutti autori neri. Perché Fabrizio Corona – io posso dirlo, in quanto catanese – essendo siciliano ha sangue nero nelle vene, e lo si vede dalla velocità e sapienza con cui si muove in tutti i Bronx della nostra epoca.
Anche scenicamente, Falsissimo è pura stand up comedy: una sedia. Fabrizio elimina persino il microfono. Ma c’è di più: laddove lo stand up comedian si limita al racconto, Corona fa di più, scende in strada. Egli è Street Up Comedian: non evoca i personaggi, gli versa da bere. E poi ancora. E poi ancora…
Non si limita al dark humour: si reca fisicamente sul luogo del reato e mette in scena lo spettacolo, senza scuse, senza finti moralismi, senza giustificazioni in nome di una qualche funzione pubblica del voyeurismo da cronaca nera. Raccontiamo gli omicidi per l’auditel, ovvero per i click, perché vi piacciono i buchi della serratura. Ma cosa ci fa, lei, signora, calata a novanta gradi a spiare? La si alzi, la si rassetti la gonna, venga, le apro la porta, si accomodi, entri pure nel grande salone della festa dell’orrore. La scorterò tra i comprimari, i night club, le prostitute e le spogliarelliste, le mostrerò corna e tradimenti, atti sessuali consumati in fretta nei parcheggi dei centri commerciali, quando l’asfalto si tramonta e la notte si avvicina con le sue promesse proibite.

I LATE NIGHT E IL TRUE CRIME
Infine, i Late Night Show, archetipo dell’infotainment americano, appuntamento fisso della seconda serata. Che nasce e prospera dalla lezione del Saturday Night Live (lo facciamo, Fabrizio, un Saturday Night Live, giusto? Lo dico a PISTO).
Vi sciorino i nomi: Letterman, Colbert, Fallon, Kimmel. Soltanto che loro sfondano le quarte pareti dello showbiz e della politica con un parterre di vip – operazione che hanno tentato di portare in Italia, senza evidente successo, Daniele Luttazzi e Alessandro Cattelan – mentre Fabrizio latenightizza con l’avvocato Lovati, o nel bosco di Rogoredo, sul davanzale di Lacerenza (quando la storia si fa pesa, per la Zanzara di Confindustria), tra gli ultras o incontrando spacciatori di retroscena, registrando tutto, mentre aspiranti qualcosa gli raccontano di sesso e droga e qualche samba.
Mangiandosi viva la concorrenza. Mangiandosi Salvo Sottile, che anche lui vorrebbe buttarsi nella cronaca nera (e vera) ma lo fa con l’intonazione di voce, con la faccia, con la postura, con la profondità di chi ha in corso un terribile attacco di emorroidi. E mangiandosi il peso piuma Giuseppe Cruciani, che vorrebbe pescare anche lui nel torbido ma si ferma all’irrilevanza dei suoi personaggi da circo. Perché Cruciani è Barnum. Ma Fabrizio Corona, signore e signori, è Truman Capote.

