“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. È l’articolo 21 della Costituzione italiana. Ma la censura, quando non istituzionalizzata, avviene attraverso strade secondarie: con la violenza, l’intimidazione, la minaccia. Sigfrido Ranucci ha subito un attacco in quanto giornalista d’inchiesta, un ordigno da un chilo è esploso fuori casa sua, distruggendo la sua auto. “Un salto di qualità” nell’intimidazione dei confronti del conduttore di Report. Immediati i messaggi di solidarietà, da ogni parte politica e dai colleghi. Ranucci ne ha parlato anche da Marco Damilano a Il cavallo e la torre: “La solidarietà è stata bella, importantissima. Ringrazio chi l'ha fatta, ringrazio ovviamente il presidente della Repubblica, la presidente del Consiglio, ringrazio tutti i colleghi perché c'è stata una grandissima manifestazione d'affetto, devo dire, assolutamente trasversale”, ha detto il conduttore di Report, “però io vorrei che si facesse un salto di qualità in questo campo approvando delle leggi che tutelino veramente la libertà di stampa. È troppo facile dare solidarietà quando esplode una bomba. È più complicato avere un ruolo istituzionale nel momento in cui finisci sotto inchiesta. Vorrei che approvassero la legge sulle liti temerarie che è affossata in Parlamento da anni e che magari limiterebbe le denunce”. Effettivamente già nel 2018 alcuni deputati del Pd avevano presentato alla Camera una proposta di legge (numero 416) che introducesse “una forma di responsabilità civile aggravata a carico di colui che promuove un’azione risarcitoria priva di consistenza per diffamazione a mezzo della stampa e prevedendo, oltre al rimborso delle spese e al risarcimento a favore del convenuto, anche il pagamento di una somma determinata dal giudice in via equitativa”, cioè il “pagamento di una pena pecuniaria a favore della Cassa delle ammende (ente che si occupa, tra le altre cose, dello sviluppo di percorsi di giustizia riparativa, ndr) stabilita in una quota percentuale del valore della domanda risarcitoria presentata, in misura variabile fra il 5 per cento e il 10 per cento fino all’importo massimo di 30mila euro”. Nel 2022, poi, i senatori Pd Mirabelli, Fina e Martella, ripropongono la questione in aula, specificando che il 17 dicembre 2019 il disegno di legge presentato dal senatore del Movimento 5 Stelle, Primo di Nicola, era già stato approvato dalla Commissione giustizia, ma mai discusso in Assemblea. La proposta è che nel caso di querela temeraria il giudice possa condannare l’attore “oltre che alle spese di cui al presente articolo e di cui all’articolo 91 (che disciplina le spese di lite, limitando il pagamento da parte del querelante alle sole spese per la difesa, ndr), al pagamento a favore del convenuto di una somma, determinata in via equitativa, non inferiore ad un quarto di quella oggetto della domanda risarcitoria”. Il “salto di qualità” riguarderebbe invece un risarcimento ulteriore.

Liti temerarie
Le liti temerarie sono letteralmente “azioni legali strategiche tese a bloccare la partecipazione pubblica”. Detto volgarmente, sono procedimenti volti a far desistere i giornalisti dal pubblicare inchieste che potrebbero colpire figure di rilievo come politici, imprenditori o istituzioni con grande influenza. Chi scrive, infatti, per timore di dover affrontare un processo e le spese che ne derivano, oltre al potenziale risarcimento, potrebbe rinunciare al proprio lavoro. In Italia ci sono alcuni casi celebri: Silvio Berlusconi chiese a Giovanni Valentini, all’epoca direttore de L’Espresso, un risarcimento di 50 milioni di euro. Corrado Formigli, ora a La7, venne chiamato in giudizio dalla Fiat per 7 milioni. Di Nicola, il senatore promotore della legge del 2019, pubblicò nel 1996 un articolo sulla casa di Massimo D’Alema, il quale gli chiese, per violazione della privacy, un miliardo di lire.

La raccomandazione della Commissione Ue
L’Unione Europea pubblica annualmente una Relazione sullo stato di diritto dei Paesi membri, in cui passa al vaglio riforme e fa il punto su varie materie, tra le quali la condizione del sistema giudiziario, il quadro anticorruzione e appunto la tutela della libertà di stampa. Nella relazione 2025 sull’Italia si scrive che la proposta depositata in Senato “rappresenta un passo avanti in quanto prevede di abolire formalmente la pena detentiva per il reato di diffamazione a mezzo stampa e prevede sanzioni pecuniarie per chiunque intenti un'azione legale vessatoria nei confronti di un giornalista. Ciononostante continuano a destare preoccupazione alcuni elementi ritenuti una minaccia per la libertà di stampa, quali l'aumento delle sanzioni penali pecuniarie (che potrebbero raggiungere i 50mila euro nel caso di diffamazione, ndr), la possibilità dell'interdizione temporanea dalla professione di giornalista (da uno a sei mesi, ndr) e l'introduzione dell'obbligo di rettifica automatica”. Un passo avanti che il nostro Parlamento non sembra voler fare. Peraltro già in una precedente Direttiva Ue, la 2024/1069, era stata raccomandata l’implementazione di normative anti-Slapp (acronimo di “strategic lawsuit against public participation”), cioè contro i procedimenti giudiziari intentati, di fatto, solo per silenziare i giornalisti. Tra le caratteristiche di tali azioni scorrette ci sono “la natura sproporzionata, eccessiva o irragionevole della domanda o di parte della stessa”; il numero di procedimenti intentati dallo stesso soggetto in questioni simili; eventuali “intimidazioni, molestie o minacce” da parte del querelante prima, dopo o durante il procedimento; l’uso “in malafede” di escamotage come “il rinvio del procedimento, la scelta opportunistica del foro fraudolenta o pretestuosa o l’interruzione della causa in una fase avanzata del procedimento in malafede”. Ancora nella Direttiva Ue si richiedono alcune garanzie procedurali: il versamento di una cauzione da parte di chi fa causa “a copertura delle spese stimate”, quindi le spese legali “e, se previsto dal diritto nazionale, le spese relative ai danni”; il rigetto anticipato delle domande “manifestamente infondate”; le sanzioni pecuniarie a riparazione del danno o la pubblicazione della decisione del giudice in merito al procedimento. La Direttiva è entrata in vigore a maggio 2024, il limite per la ricezione anche in Italia è del 7 maggio 2026. Se il Parlamento non implementa in tempo quanto previsto dal documento l’Italia rischia la procedura di infrazione.

Le richieste dell’Ordine dei giornalisti
Il presidente dell’Ordine dei giornalisti del Lazio, Guido D’Ubaldo, è intervenuto a settembre 2025 alla Camera proprio per sollecitare la ricezione delle normative europee. In quell’occasione D’Ubaldo ha segnalato alcuni dati. Tra questi, il più indicativo è proprio quello relativo alle Slapp o liti temerarie: l’Italia è lo Stato dell’Ue in cui il numero è più alto, con 26 casi segnalati, che equivalgono a un quarto di tutti quelli registrati in Europa. E ancora 26 sono i giornalisti costretti a vivere sotto scorta nel nostro Paese. Rifacendosi a quella stessa Direttiva che abbiamo già citato, D’Ubaldo chiede ai deputati di rimettere al centro del dibattito quegli strumenti indicati a tutela dei giornalisti, ovvero “procedure rapide di rigetto per le cause infondate o abusive, rimborso integrale delle spese legali per le vittime, risarcimento dei danni subiti, formazione specifica per magistrati e operatori del diritto, tutela rafforzata per i giornalisti, soprattutto per chi svolge attività di inchiesta”.

Chiamati in giudizio, minacciati, malpagati (i 5 euro a pezzo sono la normalità), presi in giro con carote sventolate sotto al naso in commissione Vigilanza Rai. Questa è la vita dei giornalisti di inchiesta come Sigfrido Ranucci. La vita di tanti. Anche prima di una bomba fatta esplodere sotto casa. La politica guarderà ancora da un’altra parte?