“Gli è andata bene”. Così l’imprenditore e studioso di economia internazionale Alberto Forchielli commenta, parlando con MOW, la recente manovra del governo guidato da Giorgia Meloni indirizzata al varo della tassa sugli extraprofitti bancari: “Sono riusciti a mettere in campo questa manovra e a evitare la necessità di un dietrofront” dato che “dopo la dura serie di perdite bancarie nella seduta di martedì 8 agosto, nella giornata odierna le borse si sono subito riprese” e questo invita gli operatori del mercato a “non fare una tragedia” degli impatti della misura. Dopo aver bruciato 8,96 miliardi di euro a Piazza Affari, le banche italiane si sono infatti riprese nella seduta del 9 agosto e i listini indicano risultati positivi. Il manager e senior partner di Mindful Capital Partners non fa però sconti sul giudizio concreto della manovra “pur delimitata dalle precisazioni fatte dal Ministero dell’Economia guidato da Giancarlo Giorgetti”: Forchielli ritiene che la tassa imposta alle banche sia una sorta di “prelievo forzoso”, un tipo di misura “che a prescindere ritengo sarebbe sempre meglio non fare. Non sono mai belle le imposizioni fiscali decise ex post dalla sera alla mattina, all’insaputa dei destinatari” anche perché “nella gestione della politica economica possono creare disequilibri”.
Secondo Forchielli “il governo si è trovato di fronte alla necessità di operare quello che è a tutti gli effetti un prelievo forzoso su un preciso settore” perché Giorgia Meloni e i suoi hanno dovuto fare i conti con “un limite di bilancio che grida vendetta e con la necessità di ottenere ovunque le risorse che servono all’agenda politica della maggioranza”. In un contesto del genere, lo ricordiamo, il governo sta discutendo la delega fiscale per la riduzione delle aliquote Irpef e l’abbassamento della pressione fiscale sui cittadini con l’obiettivo di arrivare a una compiuta flat tax nei prossimi anni. Le risorse sono ridotte e la crescita dell’inflazione e dei tassi degli anni scorsi ha eroso molte risorse, dunque “si cerca ovunque di scavare con mezzi e mezzucci” alla ricerca di “risorse che su altre voci di entrata del campo fiscale non si possono procacciare”. In quest’ottica dunque le parole di Matteo Salvini, che ha rivendicato in capo alla Lega la paternità della misura adducendo il nesso diretto tra l’estrazione dei profitti bancari e la volontà del governo di abbassare le tasse ai cittadini, appaiono una palese confessione di questa volontà. “Aggiungiamo a ciò che toccando le banche il governo può vendere all’opinione pubblica l’effetto Robin Hood, presentandosi come chi toglie ai ricchi per dare ai poveri”, nota Forchielli, “e il quadro è completo”. Questo del resto è un governo che ha deciso di considerare di fatto intoccabili “le categorie protette di vario tipo”, ha scelto “di non perseguire gli evasori” e non ha pensato nemmeno a un riequilibrio del carico fiscale perché è passata la logica secondo cui per i contribuenti “le tasse vanno abbassate”, a prescindere. Dunque ritorna l’estrattivismo sugli extraprofitti, paragonabile a quello del governo Draghi sulle compagnie energetiche.
“Ma qualora le cose fossero andate male alle banche, ci sarebbe stata la stessa corsa a dare loro risorse come ora c’è a estrarle dai loro utili?”, si domanda Forchielli, ragionando con uno sguardo d’insieme al fatto che in Italia perfino giganti come Eni e Intesa siano toccabili nel loro business e nei loro profitti mentre “in questo Paese i banchieri sembrano meno potenti dei tassisti e dei balneari”, coccolati e accarezzati dal governo Meloni. Esecutivo che si dichiara di destra liberale ma di fatto applica tali manovre solo nella pars destruens, essenzialmente la restrizione del welfare tramite la riduzione del reddito di cittadinanza, senza pensare a un’agenda espansiva di tale stampo: le politiche di tutela delle rendite di gruppi come tassisti e balneari non sono certamente pro-concorrenza; la tassa sulle banche segue di fatto quella della Spagna di Pedro Sanchez a guida socialista e della sinistra radicale che Meloni e i suoi si auguravano poche settimane fa venisse disarcionato dalla destra dei Popolari e di Vox; altrove, come sulla pubblica amministrazione, prosegue il tradizionale statalismo governista che accomuna tutti i partiti una volta giunti al potere. Per Forchielli però in quest’ottica non bisogna pensare a possibili scossoni sull’immagine italiana nel consenso finanziario internazionale. Parlano “i dati delle borse” e il fatto che sulla scena globale ”la Meloni ha giocato bene, ha generalmente rassicurato i mercati, con la nomina di Giorgetti ha raffreddato molte tensioni scegliendo un moderato a tutela dei conti pubblici”. E forse proprio in virtù di questa cautela passata la premier ha scelto di giocare una mano più rischiosa sulle banche, prendendo di sorpresa il settore. Ora però ci sarà da scrivere la manovra: e sarà sulle politiche per la crescita, e non sulle tasse, che si giudicherà la capacità di programmazione del governo.