Ha battuto tutti sul tempo, Marco Cappato. Per le elezioni suppletive nel collegio senatoriale di Monza-Brianza del 22-23 ottobre, vacante dopo la morte di Silvio Berlusconi, una decina di giorni fa ha fatto la mossa: si è candidato contro Adriano Galliani, berlusconianissimo amministratore delegato del Monza calcio. Ha così spiazzato tutti, il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, già militante radicale (oggi, dice, di radicale conserva il “metodo”) e famoso per tante battaglie sui diritti civili e sui temi bioetici, aiutando personalmente chi ha cercato, come dj Fabo, di interrompere volontariamente le cure, tentativi che gli sono valsi processi su processi. Classe 1971, di Monza, ex deputato europeo per due volte con la Lista Bonino e consigliere comunale a Milano dal 2011 al 2016, attorno al suo nome si sono radunati i Verdi-Sinistra, +Europa, Volt, i LibDem (Andrea Marcucci, Sandro Gozi, Oscar Giannino) e, naturalmente, il Partito Radicale. Mancano all’appello Azione, con un Calenda che sarebbe pronto ad appoggiarlo; Matteo Renzi, che invece ha dichiarato di non essere sicuro che con lui si vinca; e soprattutto il Partito Democratico, nel cui ventre l’anima cattolica, oggettivamente dall’altra parte della barricata su argomenti come eutanasia, aborto e liberalizzazione delle droghe, deve costituire un ostacolo a un eventuale sostegno da parte di Elly Schlein. Raggiungiamo telefonicamente Cappato alla vigilia del Trofeo Berlusconi, la partita fra Milan e Monza dell’8 agosto.
Cappato, lei è un tifoso di calcio? Per chi tiferà?
Io giocavo a basket, nel Forti Liberi Monza. Non sono un appassionato, non seguo le partite in televisione.
Galliani ha un vantaggio competitivo già solo per essere oggi il numero uno del Monza, non trova?
In politica, alle elezioni, è utile essere conosciuti e popolari, ma magari non basta. Quando si tratta di calcio, e in particolare per il fatto che è conosciuto da entrambe le tifoserie, è un’ottima occasione per lui. Ma le motivazioni per cui uno viene eletto vanno al di là della popolarità che si possa avere prima del voto.
Quale messaggio invia al Pd, e in particolare alla componente cattolica che, a quanto si capisce, frena sull’appoggio alla sua candidatura?
In politica vale quel che si dice e ciò che si ha il coraggio di dire pubblicamente. A me queste critiche non sono arrivate e non le conosco. Io mi sono candidato per un motivo semplice, legato alla mia storia: dare forza alle battaglie fatte fuori dal parlamento. Quelle sui diritti civili, a cominciare dal fine vita. Ma sono molti anni che mi batto anche sul tema del cambiamento climatico, per spostare le tasse a livello europeo dal lavoro al consumo di risorse ambientali e sul livello di emissioni. In una Brianza martoriata dagli eventi climatici, credo che questo sia un punto fondamentale.
Ma sulle resistenze da parte cattolica nel Pd a sostenerla?
Io non so se a livello di apparato ci sia questo problema. So però che nella società questo problema non esiste. Dai tempi del referendum del divorzio. Il divorzio non sarebbe mai passato nell’Italia degli anni ’70 se non avessero votato anche gran parte dei cattolici. Tutti i sondaggi confermano che sull’eutanasia, sull’aborto, sull’omosessualità sono proprio i cattolici, naturalmente non quelli fondamentalisti e più clericali, a saper riconoscere la differenza fra quello che ciascuno farebbe dal punto di vista della morale individuale, e quello che la legge impone di dover fare. Il sondaggio pubblicato dal Gazzettino nel Nordest dice che l’87% di frequenta saltuariamente le funzioni religiose è a favore dell’eutanasia legale. L’87%! Quindi, sul piano delle nomenclature partitiche, so che spesso c’è la corsa a fare i più realisti del re, in questo caso i più papisti del papa e del Vaticano. Ma per quanto riguarda la popolazione, le mie battaglie non incontrano questa ostilità da parte cattolica.
La Schlein, laica quanto lei, se non avesse il problema di tener unito il partito avrebbe già dato il sostegno a una candidatura come la sua, secondo lei?
La mia candidatura è a disposizione di tutti coloro che scelgono di sostenermi e di tutte le forze di opposizione alla destra. Non entro nelle dinamiche interne di ciascun partito, e ho massimo rispetto dei processi decisionali. Da dieci giorni mi sono reso disponibile a incontrare chiunque, a livello locale come a livello nazionale. Se Schlein per il momento non ha preso alcuna decisione, non speculo sui motivi per cui non l’ha fatto.
Però diciamo che il ruolo politico della Chiesa un’influenza deve avercela, mettiamola così.
Sì, però io voglio onorare le responsabilità. La responsabilità di una risposta non è della Chiesa. Che ci sia qualcuno in Vaticano che può non gradire il mio profilo politico, questo fa parte della libertà di espressione e di azione che ha anche il Vaticano. Ma la responsabilità politica di sostenere la mia candidatura è dei responsabili dei partiti, non del Vaticano. Andare a guardare troppo dietro le quinte rischia di confondere le idee sulle responsabilità che invece sono chiare.
Stiamo allora davanti alle quinte: come giudichi politicamente il fatto che il Pd non abbia neanche partecipato al voto sull’emendamento di Riccardo Magi di +Europa che cercava di modificare la legge, per ora passata alla Camera, che ha dichiarato la maternità surrogata reato universale?
Se si ritiene crimine internazionale la gravidanza per altri, significa trattare come Putin una persona che, magari per una malattia, non può generare un figlio direttamente e ricorre alla tecnica della gestazione per altri, che è una libera scelta della donna. Io credo che considerare questo un crimine internazionale sia una mostruosità, una follia. Se ci si oppone a questa follia, come anche il Pd, poi però bisogna dire che cosa si propone. In realtà l’emendamento Magi è una proposta partita da Magi, Filomena Gallo e da me, ed è semplice: l’alternativa alla criminalizzazione da una parte e alla commercializzazione sfrenata dall’altra è la gestazione per altri solidale, per cui non si può indurre una donna, per motivi economici o di lavoro, a portare avanti una gravidanza per altri. Come già avviene in molti Paesi. Non sta a me giudicare la scelta del Pd. Ora la legge passa al Senato, io spero che il Pd con più tempo a disposizione per discuterne al suo interno, si prenda la responsabilità di una decisione. Dire no al crimine internazionale non basta.
Andiamo al tema prioritario del lavoro. Cosa significa in concreto spostare le tasse dal lavoro all’inquinamento?
Intanto, l’idea non è mia ma di 27 premi Nobel, ed è in parte già applicata dall’Unione Europea nel cosiddetto scambio di emissioni, per cui le emissioni di CO2 hanno un valore, ma solo per alcuni settori industriali, mentre dovrebbe essere ampliato. Il lavoro dipendente è sotto una pressione fiscale enorme, tassatissimo, e dall’altra è sotto anche la pressione altrettanto enorme dell’automazione e della robotica, per cui tanti lavori sono a rischio. Perciò prima di tutto va detassato il lavoro soprattutto per i redditi medio-bassi, e addirittura quelli più bassi devono avere un sostegno, come può essere il salario minimo. E la tassazione va spostata sul consumo di risorse ambientali, per esempio: se io ho un materiale che ottengo riciclando dei rifiuti, quel materiale deve costare di meno di uno estratto ex novo dalle cave, perché ha un impatto ecologico inferiore. Riciclare deve avere una convenienza per l’interesse delle aziende, che così sarebbero incentivare a investire sulla sostenibilità. Il problema è che si è creato uno scontro fra chi, a destra, pensa che le misure per l’ambiente costano troppo, e chi dice che invece per salvare il pianeta vanno seguite. È chiaro che se non si dice dove si prendono i soldi, la prima posizione può diventare più comoda della seconda e più interessante per i ceti medio-bassi. La proposta dei premi Nobel punta a creare un incentivo positivo, perché è, al tempo stesso, ecologica, sociale e liberale.
Liberale perché?
Perché viene realizzata con uno strumento di mercato, un disincentivo graduale a emettere e inquinare, e non con un divieto dalla sera alla mattina.
Lei ha dichiarato che dentro il “pacco Galliani” si nasconde la mancata rivoluzione liberale di Silvio Berlusconi. Cioè?
Intanto, promuovere le libertà individuali, le scelte di vita, le libertà economiche. Il risultato che abbiamo oggi, invece, è una destra che tutto è, fuorché liberale. Da un punto di vista della libertà individuale, perché prevale il proibizionismo. Sull’economia, è un governo che insegue le corporazioni.
La tassa sugli extraprofitti delle banche non le pare essere, in questo senso, liberale?
Sì, non ho ancora avuto modo di studiarla, ma credo che un intervento su questo sia opportuno. Ma il calmieramento dei prezzi, o lo strapotere di certe corporazioni ad esempio sugli stabilimenti balneari, riguardano l’attualità, mentre il mio ragionamento è più sugli ultimi trent’anni, nei quali, quando ha governato la destra, né la pressione fiscale, né la spesa pubblica, né l’aspetto corporativo sono stati minimamente scalfiti. Lo stesso vale per la giustizia. Nessuna riforma è stata fatta, è stato fatto uno scontro con le toghe…
… e un bel po’ di leggi ad personam di berlusconiana memoria.
E un po’ di leggi ad personam. Ma non le riforme. Per tutto questo, se non fosse intervenuta la mia candidatura, e se le opposizioni si presenteranno divise, è chiaro che non ci sarebbe nessuna possibilità di strappare questo collegio a Galliani.
Matteo Renzi è dell’idea che con la sua candidatura non è detto si vinca. Come replica?
Se intende che si vince con quella di Galliani… Non ha fatto proposte alternative, aspetto che ne faccia una. La coalizione di destra l’anno scorso ha preso il 25% in più della seconda classificata, cioè il centrosinistra. Il candidato di Renzi e Calenda ha preso il 10%, cioè il 40% in meno di Berlusconi. Renzi ha detto che deciderà a settembre. Il ragionamento per cui io non prenderei voti si vedrà se valido o no solo quando sapremo chi sarà la persona che per Renzi sarà in grado di prendere voti. Prima della mia candidatura, questo collegio era solo una questione di trasferimento ereditario, come un pacchetto, da Berlusconi a Galliani. Un pacchetto, ripeto, in cui c’è la famosa mancata rivoluzione liberale.
Certo che Marco Pannella e Emma Bonino, che in passato si sono alleati con Berlusconi, potevano capirlo da subito che, con quella tara originaria del conflitto d’interessi, Berlusconi liberale, in senso classico, non poteva esserlo, no?
Pannella ha fatto una lotta politica di un anno per ottenere da Berlusconi che mantenesse le promesse. Non si è alleato, tanto che rimase fuori dal parlamento, perché si candidò contro Gianfranco Fini nel collegio di Roma. Il nostro era un tentativo di alleanza, che poi non si è realizzato. E che i Radicali pagarono, restando fuori dal parlamento per dieci anni, dal 1996 al 2006. Quando Berlusconi scese in campo, tutti i poteri organizzati, dalla magistratura organizzata a Confindustria ai sindacati, si schierarono tutti dall’altra parte, e quindi l’istinto di Pannella fu di vedere se questa persona che veniva da fuori rispetto all’establishment italiano, poteva dare una sferzata di libertà alla politica. Constatato il contrario, fece un’opposizione molto più rigorosa degli altri.
Il suo impegno attuale quindi va ancora in direzione contraria a quelle corporazioni?
Il punto non è andare contro, è capire quali riforme possono aiutare il Paese a produrre benessere e ricchezza. Ma ora stiamo parlando di un’epoca precedente alla Grande Crisi (del 2008, ndr), con un potenziale di ricchezza che bisognava decidere come utilizzare. Le grandi corporazioni l’hanno giocato sulla conservazione, per garantire chi era già garantito, salvando con interventi statali settori declinanti dell’economia (poli industriali, settori parastatali, le cassintegrazioni, l’alleanza fra pubblico e privato nel conservare l’assetto dello Stato, eccetera). Questo è stato fatto a spese dei settori innovativi, della ricerca scientifica, della piccola e media impresa, e anche dei non garantiti, dei precari, disoccupati, che guarda caso ancora oggi rimangono fuori dalla sindacalizzazione e da ogni forma di tutela. Per cui oggi se non arrivi a 20 anni di contributi, non hai diritti! È un sistema orientato sulla conservazione. Sono state mancate però delle occasioni fondamentali.
Sull’immigrazione siamo al record di sbarchi, e ieri al largo di Lampedusa l’ennesima strage, con 41 morti. Cosa ne pensa dell’accordo di filtro con la Tunisia, che secondo il ministro Piantedosi equivale a un “blocco navale”?
Se lo fosse, si potrebbe dire che fa acqua da tutte le parti. Affidarlo alla Tunisia significa non vedere che lì ci sono violazioni di massa dei diritti umani. Da una parte non funziona, e dall’altra funziona a discapito dei diritti umani. Quel che c’è da fare è ampliare gli accessi legali, per ridurre l’immigrazione clandestina e smetterla demagogicamente a criminalizzare le Ong, per poi invece chiedere aiuto alle stesse Ong per salvare vite. Basta con queste balle, che vengono coperte solo imponendo alle televisioni di Stato di non parlare più del tema. Siccome la questione è imbarazzante, allora sai che c’è?, la questione non c’è più. Eh, no.
Lei è favorevole all’invio di armi all’Ucraina?
Sì. Sono convinto che debbano essere fatti degli interventi di costruzione della pace, che hanno tempi necessariamente lunghi. Se ora decidessimo di non inviare più armi, rafforzeremmo le possibilità di cancellazione dell’esistenza stessa dell’Ucraina. Dopodiché ci sono anche strumenti non-violenti, il primo dei quali è la giustizia internazionale. Penso che, proprio da alleati dell’Ucraina e degli Stati Uniti, dovremmo chiedere che gli Stati Uniti sottoscrivano lo statuto della Corte Penale Internazionale, e che loro stessi si sottopongano alla giustizia internazionale. E lo stesso l’Ucraina. Aiutare la resistenza ucraina non significa togliere qualsiasi valore a strumenti non armati di pace.
Lei approva quindi la politica del governo Meloni sull’Ucraina?
La approvo nel sostegno all’Ucraina, ma non nell’impostazione nazionalista, che non riconosce il valore della giustizia internazionale nella risoluzione dei conflitti. In questo la destra sbaglia.
Insomma non basta essere perfettamente allineati alla Nato?
Sì, ma la Nato è un’alleanza militare. Io sto parlando dell’Onu, del Tribunale Penale Internazionale, delle forze di pace, ma anche dell’Unione Europea come spazio di diritto. È chiaro, invece, che se si sta dalla parte dei governi polacco e ungherese nel negare la supremazia del diritti europeo sul diritto internazionale, si indebolisce l’azione delle istituzioni internazionali. La Nato interviene quando ormai non ci sono più soluzioni. Una volta che c’è un aggredito, la difesa militare è l’unica cosa che si può fare. Ma prima che scoppi un conflitto, sono le altre istituzioni a essere molto più importanti della Nato, quelle che fanno crescere il disarmo, i corpi di pace, i diritti umani, civili e politici, da far rispettare anche contro la volontà degli Stati nazionali. Tutto questo non è l’orizzonte della politica estera della destra.
Ma l’Ungheria e la Polonia sono filo-americane tanto se non più di noi.
Ma questa è la sua visione, non è la mia. Ci sono anche dittatori africani che sono filo-americani, e altri che sono filo-russi. Ma la politica internazionale per come la intendo io non si divide in filo-russi e filo-americani, ma in democratici e anti-democratici, in internazionalisti e nazionalisti. Questa destra è nazionalista. Sono contento della solidarietà atlantica confermata da questo governo, ma a me questo non basta, perché la pace si costruisce sul lungo periodo con interventi strutturali che riguardano la democrazia. Il governo polacco è fondamentale, di frontiera, rispetto al pericolo russo, dopodiché le politiche del governo polacco sulle libertà fondamentali, di stampa e della magistratura, creano i conflitti del futuro. Non è che dobbiamo far finta di niente se cancella i diritti delle persone lgbtq+ o dei giudici o delle radio libere, o se criminalizza l’aborto. Sono i diritti individuali che devono essere messi al centro, non le sfere d’influenza militari. Questo valeva anche quando ci facevamo aiutare sui migranti da Gheddafi, o dalla Tunisia oggi.
O dalla Turchia di Erdogan, paese Nato.
O dalla Turchia di Erdogan. Ma poi queste cose ci si ritorcono contro, anche in termini di sicurezza e di pace.
Oltre al nazionalismo, lei è uno di quelli che vede un pericolo di strisciante neofascismo nella destra di Fratelli d’Italia, per esempio dalle parole di Marcello De Angelis sulla strage di Bologna?
Sicuramente, la classe dirigente attorno a Meloni è rimasta ristretta agli ambienti del Movimento Sociale Italiano. Personalmente, ho più paura di leggi e politiche liberticide che non di singoli o di dichiarazioni. Trovo di stampo fascista, nel senso di oppressivo per la vita delle persone, il proibizionismo sulle droghe e su tutta una serie di diritti, un proibizionismo purtroppo sopravvissuto anche durante governi di centrosinistra.
Cateno De Luca, il sindaco di Taormina candidatosi nel suo stesso collegio per queste suppletive, ha detto che sul suicidio assistito, su cui lei si è speso più volte in prima persona , è “in antitesi” rispetto a lei, perché “chi ci accompagna agli inferi è Caronte”. Lei invece cosa pensa di De Luca?
Non penso nulla. Non lo conosco, conosco solo questa dichiarazione che considero particolarmente superficiale e offensiva, non nei miei confronti, ma nei confronti di persone che sono in condizioni di sofferenza insopportabile, e pensare che siano condannati agli inferi, come dice lui, è un insulto da una persona che non è nemmeno interessata a quello di cui sta parlando. Se dovesse dirlo in faccia, a loro e non a me, credo non avrebbe tutta questa baldanza e questa presunzione.
Ha ricevuto l’endorsement del giornalista Francesco Merlo su Repubblica, che però è stato bacchettato da un lettore per aver scritto che Monza è “berlusconissima”, cosa non vera visto che è amministrata dal Pd. Teme ora un appoggio anche di Alain Elkann, dalle colonne di Repubblica?
Quando si hanno idee e proposte non si deve aver paura di chi le fa proprie, sono per una politica laica. Purtroppo in Italia la politica si fa sull’opposizione amico/nemico, per cui se una cosa la fa il nemico, è per forza sbagliata. Mentre la politica si dovrebbe fare laicamente sugli obbiettivi.
Risposta diplomatica. Elkann non simboleggia esattamente il mondo dell’elettore comune.
Sì, sì, certo. Votano tutti, anche Alain Elkann. È evidente però che, in termini di apparati di potere politico ed economico, Galliani parte avvantaggiato. Il potere sta da quella parte. Ma non è che se un Alain Elkann sostenesse me, allora di colpo il potere sta dalla mia parte. Se Elkann mi sostenesse, non mi vergognerei del suo sostegno, come di qualsiasi persona ed elettore di qualsiasi ceto sociale.