La questione del “fine vita” torna prepotentemente al centro della scena. Da un lato, perché la Corte dei Diritti dell’Uomo si è dichiarata incompetente, così da respingere l’ultimo ricorso dei genitori di Archie Battersbee per tenere in vita il figlio dodicenne in stato vegetativo da aprile. Hanno insistito fino all’ultimo affinché il bambino potesse essere preso in carico da “Paesi come Italia o Giappone, pronti a garantire l’assistenza”, ha detto la madre Hollie, ma i medici del London Royal Hospital hanno giudicato impossibile il trasferimento all’estero del piccolo a causa delle sue gravissime condizioni. Dall’altro lato, perché Marco Cappato, dell’Associazione Luca Coscioni, dopo essere stato assolto dall’accusa di “aiuto al suicidio” di Fabiano Antoniani, detto Dj Fabo. ora rischia 12 anni di carcere per la stessa accusa visto che si è autodenunciato per aver aiutato una donna malata terminale ad accedere all’eutanasia in Svizzera, pratica che da noi è illegale. Questioni complesse, che vanno a toccare la sensibilità di tutti e scatenano reazioni contrastanti da caso a caso.
In proposito, per cercare di fare chiarezza, abbiamo intervistato Mirella Parachini, storica compagna di Marco Pannella, medico specialista in Ostetricia e Ginecologia, iscritta al Partito Radicale dal ‘73, che ha fatto parte del Movimento di Liberazione della Donna impegnandosi per la battaglia referendaria sul divorzio e per il raggiungimento della legge sull’aborto in Italia. Nel 2002 è stata anche tra i fondatori dell’Associazione Luca Coscioni, di cui Marco Cappato è tesoriere.
Prima la bocciatura del quesito referendario da parte della Consulta che ha sbarrato la strada a una soluzione di iniziativa popolare, poi le nuove accuse a Marco Cappato. Che momento storico stiamo vivendo sul tema del fine vita?
Ho l’impressione che le batoste, spesso, rafforzino un po'. Il fatto che si sia voluto proporre una lista per queste elezioni ne è la testimonianza. La lista si chiama “Referendum e Democrazia”, cominceremo a raccogliere firme online. Questo è un esempio estremamente concreto di mobilitazione popolare da parte di cittadini che, invece di lagnarsi della politica, decidono di reagire. Penso che questa sia la chiave. Dopo la bocciatura del referendum andremo avanti presentandoci in Parlamento e continueremo con la disobbedienza civile ad oltranza.
Tre anni fa Marco Cappato ottenne un risultato importante. In seguito al processo sul suicidio assistito di Dj Fabo la sentenza della Corte Costituzionale stabilì la possibilità per un certo tipo di pazienti di interrompere i trattamenti di sostegno vitale. Cosa vi aspettate ora dal caso di Elena?
Dipende molto da come verranno valutate le cose. L’aspetto più importante per noi è la discriminazione in atto ai danni dei pazienti, coloro cioè che hanno una parte delle condizioni stabilite dalla sentenza ma non dipendono da macchine di supporto vitale. Per la verità, la Corte Costituzionale ha più volte sollecitato l’intervento del Parlamento, ma tutti i Governi si sono dimostrati inermi davanti alla questione. Penso che tutte le possibilità siano aperte, compresa quella peggiore, quella della condanna di Cappato. Questo non fa altro che rafforzare il suo coraggio e la sua volontà di continuare sulla via della disobbedienza civile.
Il 25 settembre si torna al voto. Cosa succederebbe se dovesse vincere la coalizione di centrodestra, fermamente contraria al suicidio assistito?
Io credo che alla luce di quello che abbiamo appena detto, forse una maggioranza di destra non farebbe tutta questa differenza (ride) visto che non siamo riusciti in questi anni a ottenere una legge. Io non auspico una vittoria della destra, ma non mi sembra che questa sinistra possa accampare meritoriamente un grande orgoglio rispetto a queste tematiche. Quindi, mi viene da dire, come abbiamo combattuto e stiamo combattendo fino ad ora continueremo a combattere. Mi sarebbe piaciuto di più che nei programmi indicati dalla sinistra ci fosse stata una maggiore determinazione verso le nostre tematiche, questo è indubbio. Per la richiesta di referendum si sono mobilitate 1.400.000 persone, è la sensibilità del Paese che conta, non l’Associazione Luca Coscioni. Non tenerne conto per una questione di tattica politica, per non affrontare temi divisivi, sarà fatale per la politica e per il Paese.
Come sta vivendo caso Archie Battersbee?
Questo è un tipico caso estremamente delicato e complesso. È difficile e forse ingiusto dirsi pro o contro. Certamente colpisce che chi si mobilita per una difesa della vita, o della non vita in questo caso, poi rimane indifferente di fronte ad altre vite che terminano drammaticamente su un gommone nel mezzo del Mar Mediterraneo, magari. Non amo usare questo tipo di argomento, ma devo confessare che mi colpisce. Fare di tutto per tenere attaccato a un respiratore un bambino cerebralmente morto e non mobilitarsi altrettanto per vite umane che fuggono da miseria, violenza e sistemi dittatoriali francamente mi pare bizzarro.
Questa storia ha sollevato moltissime polemiche a seguito della decisione dell’Alta Corte inglese di scavalcare la potestà dei genitori del bambino e di decidere autonomamente in nome del “maggior interesse del minore”. Da medico e attivista, come valuta questo aspetto?
Bisognerebbe anche rendersi conto del rapporto costo-beneficio. Cure così intensive richiedono un certo tipo di impegno che da un punto di vista sanitario ha dei costi, e che tali risorse vengono sottratte a situazioni che magari sono passibili di miglioramento. Credo che a un certo punto bisognerebbe avere il coraggio di dire che il sistema sanitario deve fare delle scelte. Questo problema ce lo eravamo posto quando nelle rianimazioni, al tempo della pandemia, c’era un alto numero di novax: ma quanto è giusto che uno per una scelta ideologica poi si trova a subire delle conseguenze che vengono scaricate sulla collettività? Non bisogna pensare che il sistema sanitario sia avulso dal contesto sociale. Bisogna sapere che le scelte sanitarie incidono anche in termini di investimenti.
Come Associazione Luca Coscioni che posizione avete?
Ci poniamo la questione da molto tempo. Bisognerebbe che l’informazione e le autorità competenti facessero capire che dietro un respiratore impiegato c’è una scelta sanitaria. Io non dico che poi non si debba prendere tale scelta, ma dico che la gente deve esserne cosciente. La popolazione italiana sta invecchiando e la questione del fine vita e della non autosufficienza diventerà sempre più pressante. C’è un bellissimo libro di Giuseppe Remuzzi, intitolato “La scelta. Perché è importante decidere come vorremmo morire” che dimostra come la maggior parte della spesa sanitaria venga destinata all’ultima fase della vita, anni che magari vengono vissuti in sofferenza. È chiaro che se fai questo discorso per un anziano sofferente magari si capisce di più, se lo fai per un bambino di 12 anni emotivamente assume un altro significato, ma sempre di scelta di investimento in politica sanitaria stiamo parlando.
Quindi voi siete d’accordo con la necessità del consenso dei familiari?
Noi non abbiamo un “Luca Coscioni pensiero” su questo, io le rispondo in un modo e magari qualcun altro le risponde in un altro. Credo che le scelte di investimento in politica sanitaria vadano ragionate, non ci sono i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. I cosiddetti “buoni” devono sapere che se scelgono di tenere in vita un bambino, in questo caso, per la decisione dei genitori, questo si riflette su tutto il resto della popolazione. Non siamo delle entità autonome. Quindi, in questo senso, penso che il cittadino dovrebbe essere confrontato con le decisioni in materia sanitaria.